Il Meccanismo europeo di stabilità (MES – European Stability Mechanism, ESM) è stato istituito mediante un trattato intergovernativo, al di fuori del quadro giuridico della UE, nel 2012. La sua funzione fondamentale è concedere, sotto precise condizioni, assistenza finanziaria ai paesi membri che – pur avendo un debito pubblico sostenibile – trovino temporanee difficoltà nel finanziarsi sul mercato. La condizionalità varia a seconda della natura dello strumento utilizzato: per i prestiti assume la forma di un programma di aggiustamento macroeconomico, specificato in un apposito memorandum; è meno stringente nel caso delle linee di credito precauzionali, destinate a paesi in condizioni economiche e finanziarie fondamentalmente sane ma colpiti da shock avversi. Il MES è guidato da un “Consiglio dei Governatori” composto dai 19 Ministri delle finanze dell’area dell’euro. Il Consiglio assume all’unanimità tutte le principali decisioni (incluse quelle relative alla concessione di assistenza finanziaria e all’approvazione dei protocolli d’intesa con i paesi che la ricevono). Il MES può operare a maggioranza qualificata dell’85 per cento del capitale qualora, in caso di minaccia per la stabilità finanziaria ed economica dell’area dell’euro, la Commissione europea e la BCE richiedano l’assunzione di decisioni urgenti in materia di assistenza finanziaria. Il MES ha un capitale sottoscritto pari a 704,8 miliardi, di cui 80,5 sono stati versati; la sua capacità di prestito ammonta a 500 miliardi. L’Italia ha sottoscritto il capitale del MES per 125,3 miliardi, versandone oltre 14. I diritti di voto dei membri del Consiglio sono proporzionali al capitale sottoscritto dai rispettivi paesi. Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15 per cento e possono quindi porre il loro veto anche sulle decisioni prese in condizioni di urgenza. La proposta di riforma del Trattato istitutivo del MES interviene sulle condizioni necessarie per la concessione di assistenza finanziaria e sui compiti svolti dal MES in tale ambito, introducendo modifiche di portata complessivamente limitata; la riforma non prevede né annuncia un meccanismo di ristrutturazione dei debiti sovrani, non affida al MES compiti di sorveglianza macroeconomica. La riforma, inoltre, attribuirebbe al MES una nuova funzione, quella di fornire una rete di sicurezza finanziaria (backstop) al Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund, SRF) nell’ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie.
1. È vero che il MES non serve all’Italia e che anzi addirittura la danneggia?
Il MES non è un organismo inutile e, certo, non danneggia il nostro paese; serve all’Italia tanto quanto a ciascun altro paese dell’area dell’euro.
Il MES attenua i rischi di contagio connessi con eventuali crisi di un paese dell’area dell’euro, rischi che in passato si sono materializzati e hanno avuto gravi ripercussioni sul nostro paese (come è accaduto, ad esempio, a partire dal 2010 con la crisi della Grecia). La presenza del MES riduce la probabilità di un default sovrano, almeno per i paesi le cui difficoltà sono temporanee e possono essere risolte con prestiti o linee di credito (per gli altri non cambia nulla).
Con la riforma, che consente al MES di fungere da backstop del Fondo di risoluzione unico, il MES contribuirebbe anche a contenere i rischi di contagio connessi con eventuali crisi bancarie di rilievo sistemico.
Per quanto riguarda specificamente l’Italia, il rifinanziamento dell’elevato debito pubblico del nostro paese può avvenire in maniera più ordinata e a costi più contenuti se le condizioni sui mercati finanziari restano distese.
2. È vero che il Governatore Visco ha definito un “enorme rischio” la riforma?
No, il Governatore ha sostenuto che l’introduzione di un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano (Debt Restructuring Mechanism) comporterebbe un rischio enorme (https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2019/Visco_OMFIF_15112019.pdf); la riforma del MES non prevede né annuncia un tale meccanismo.
3. È vero che la riforma del MES implicherebbe una ristrutturazione automatica del debito nel caso in cui il nostro paese dovesse chiedere accesso ai suoi fondi?
No, la riforma non prevede né annuncia un meccanismo automatico di ristrutturazione dei debiti sovrani. Come nel Trattato già oggi in vigore, non c’è scambio tra assistenza finanziaria e ristrutturazione del debito. La riforma chiarisce che le verifiche preliminari sulla sostenibilità del debito del paese che chiede assistenza non hanno alcun carattere di automaticità (sono condotte con un “margine di discrezionalità sufficiente”) e ribadisce che il coinvolgimento del settore privato nella ristrutturazione del debito rimane strettamente circoscritto a casi eccezionali.
4. È vero che la riforma è costruita in modo da facilitare l’accesso ai fondi di paesi che sono in regola con i conti pubblici (per esempio la Germania per affrontare una crisi delle sue banche) e da penalizzare invece l’accesso ai fondi dei paesi che non rispettano i parametri di Maastricht (per esempio l’Italia se dovesse esserci una crisi del suo debito sovrano)?
Le condizioni per l’accesso ai finanziamenti del MES (prestiti e linee di credito precauzionali) a seguito della riforma rimarrebbero sostanzialmente inalterate.
Per quanto riguarda i prestiti (che sono condizionati a un programma di aggiustamento macroeconomico), alla preliminare verifica della sostenibilità del debito (già prevista dal trattato in vigore) verrebbe affiancata quella della capacità di ripagare il prestito (già utilizzata nella sorveglianza post-programma). Sono clausole a tutela delle risorse del MES, di cui l’Italia è il terzo principale finanziatore.
Per quanto riguarda le linee di credito precauzionali la riforma conferma la differenza già esistente nel Trattato in vigore tra quella “semplice” (Precautionary Conditioned Credit Line, PCCL) e quella “a condizionalità rafforzata” (Enhanced Conditions Credit Line, ECCL): la PCCL è riservata ai paesi che rispettano le prescrizioni del Patto di stabilità e crescita, che non presentano squilibri macroeconomici eccessivi e che non hanno problemi di stabilità finanziaria, mentre la ECCL è destinata ai paesi che non rispettano pienamente i suddetti criteri e ai quali pertanto vengono richieste misure correttive.
La riforma precisa, rendendoli più stringenti, i criteri attualmente in vigore per l’accesso alla PCCL. In particolare la riforma stabilisce che di norma la PCCL può essere utilizzata solo dai paesi non soggetti a procedure per disavanzo o per squilibri macroeconomici eccessivi e prevede benchmark quantitativi per le variabili di finanza pubblica. A fronte di requisiti più stringenti, per la concessione della PCCL non sarebbe più richiesta la firma di un Memorandum of Understanding: la linea di credito verrebbe concessa a fronte di una lettera di intenti del paese richiedente.
5. È vero che la riforma del MES aumenta la probabilità di un default sovrano?
No, non è vero. La riforma ribadisce che la ristrutturazione del debito sovrano con il coinvolgimento del settore privato rimane strettamente circoscritta a casi eccezionali. È alla luce di questa confermata eccezionalità che va interpretata la modifica – che avverrebbe a partire dal 2022 – delle clausole di azione collettiva (collective action clauses, CACs).
In base a tale modifica, se un paese decidesse di procedere alla ristrutturazione del proprio debito, sarebbe sufficiente un’unica deliberazione dei possessori dei titoli pubblici al fine di modificare i termini e le condizioni di tutte le obbligazioni (single limb CACs), anziché richiedere una doppia deliberazione (una per ciascuna emissione e una per l’insieme dei titoli). Lo scopo di questa modifica è di rendere più ordinata un’eventuale ristrutturazione del debito, riducendo i costi connessi con l’incertezza sulle modalità e sui tempi della sua realizzazione, che danneggiano sia il paese debitore sia i suoi creditori. Ma questi costi sono solo una piccola parte di quelli complessivi di un default, e la loro riduzione non è certo sufficiente a renderlo più probabile: il vero disincentivo al default sono le sue disastrose conseguenze economiche e sociali.
Come già avvenuto nel 2013 quando furono introdotte le CACs attualmente in vigore, la modifica ora proposta – che non aumenta la probabilità di insolvenza ma riduce l’incertezza relativa al suo esito – potrebbe favorire un calo dei premi per il rischio che gravano sui titoli pubblici di tutti i paesi dell’area, inclusi quelli italiani.
Va in ogni caso ricordato che la probabilità di un default dipende in primo luogo dalle politiche economiche messe in atto dai paesi.
6. È vero che, nel processo decisionale che porta alla concessione di aiuti ai paesi da parte del MES, la riforma accresce il potere della struttura che governa il MES (organismo tecnico) rispetto a quello della Commissione europea (organismo politico)?
Pur svolgendo compiti “tecnici”, il MES è guidato da un “Consiglio dei Governatori” composto dai 19 Ministri delle finanze dell’area dell’euro ai quali spetta la decisione sulla concessione del supporto finanziario ai paesi che lo richiedono (di norma all’unanimità).
La riforma non accresce i poteri del MES ma prevede un suo ruolo attivo nella gestione delle crisi e nel processo che conduce all’erogazione dell’assistenza finanziaria, così come nel successivo monitoraggio; coerentemente vengono indicati i compiti dell’Amministratore delegato del MES.
Il MES affianca, non sostituisce la Commissione europea. Le modalità di cooperazione tra le due istituzioni saranno definite in un accordo che verrà sottoscritto quando le modifiche al Trattato entreranno in vigore. I termini di un’intesa di massima raggiunta tra le due istituzioni nel 2018 sono riflessi nel testo della proposta di riforma.
L’attività del MES è vincolata al rispetto della legislazione dell’Unione europea; al riguardo sono affidati compiti di controllo alla Commissione.
Rimane responsabilità esclusiva della Commissione la valutazione complessiva della situazione economica dei paesi e la loro posizione rispetto alle regole del Patto di stabilità e crescita e della Procedura per gli squilibri macroeconomici.
È esclusa la possibilità che il MES serva allo scopo del coordinamento delle politiche economiche tra gli Stati membri per il quale il diritto dell’Unione europea prevede le disposizioni necessarie.
7. È vero che con la riforma l’Italia dovrà versare al MES ulteriori fondi?
No, il capitale del MES è invariato, così come le regole che ne governano l’eventuale versamento.
8. È vero che in caso di intervento del Meccanismo in una crisi dovremmo versare entro sette giorni la quota mancante?
Già nel trattato in vigore il versamento di ulteriore capitale entro sette giorni è previsto solo in condizioni di assoluta emergenza, e cioè nel caso in cui il MES dovesse rischiare di trovarsi in default nei confronti dei suoi creditori.
In generale, la decisione di richiedere ulteriori versamenti di capitale spetta al Consiglio dei Governatori e segue le normali procedure di voto. Il Consiglio di amministrazione del MES può decidere a maggioranza semplice solo per versamenti volti a ripianare perdite che hanno ridotto il livello del capitale versato. La riforma non interviene su questi aspetti.
9. È vero che con la riforma né la Bce né la Commissione europea potrebbero più intervenire in caso di crisi senza la decisione del MES?
In questo campo non ci sono cambiamenti con la riforma.
Da sempre la presenza di assistenza finanziaria del MES (nella forma di un prestito accompagnato da un programma di aggiustamento macroeconomico o di una ECCL) è condizione necessaria per l’intervento della BCE sul mercato secondario dei titoli di Stato di un paese (con le “operazioni monetarie definitive”, Outright Monetary Transactions, OMT).
Per quanto riguarda la Commissione europea, lo strumento a sua disposizione era ed è il meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (European Financial Stabilisaton Mechanism, EFSM), istituito nel 2010 con una capacità di prestito di 60 miliardi e utilizzato per fornire assistenza all’Irlanda e al Portogallo. Con la piena operatività del MES, l’EFSM resta oggi di fatto attivo solo per compiti specifici come l’allungamento delle scadenze dei prestiti in essere e la concessione di prestiti ponte.
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