Vittorio Emanuele di Savoia
Il 12 febbraio Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell’ultimo re d’Italia Umberto II e di Maria José, avrebbe compituo 87 anni. Invece il destino stamattina alle ore 7.05 ha voluto che la sua vita finisse 9 giorni prima del suo compleanno, circondato nella sua elegante dimora a Ginevra in Svizzera, dalle persone più care, tra queste il figlio Emanuele Filiberto e la moglie Marina Doria. Un grande amore, quello per questa gracile donna dalla tempra di ferro, che sposò l’11 gennaio 1970 a Las Vegas e, religiosamente, il 7 ottobre 1971 a Teheran, dopo un lungo e contrastato fidanzamento. Umberto II più volte aveva ricordato al figlio la perdurante validità delle secolari leggi dinastiche e delle disposizioni del Codice civile relative al regio assenso, che non venne concesso per il matrimonio con Marina Doria. In base a questo atto contrario alle regole dinastiche, Amedeo di Savoia giustificò poi le sue pretese di capo della Casa. Poiché le leggi dinastiche di Casa Savoia riguardano i matrimoni dei principi, ma non i matrimoni dei re, il 15 dicembre 1969, essendo consapevole delle vigenti leggi e del rifiuto del padre di acconsentire al suo matrimonio con Marina Doria, su consiglio del gran maestro della massoneria Giordano Gamberini aggirò l’ostacolo ed emanò un “decreto reale” nel quale si elevava a re, autoproclamandosi Vittorio Emanuele IV re d’Italia, in quanto, secondo lui, succeduto ipso iure al padre nel 1946 come conseguenza della sua partenza per l’esilio, considerata da lui come un’abdicazione. «Per effetto della avvenuta successione, Ci competono anche i diritti di Capo legittimo della dinastia Sabauda e tali diritti eserciteremo d’ora innanzi, solo temperati dalla discrezione che lo stato fisico e morale di S.M. l’ex Re Umberto II detta alla Nostra coscienza di figlio». Il giorno successivo, al fine di sanare la condizione borghese della fidanzata, in qualità di “Re d’Italia” emanò un secondo (e ultimo) “decreto reale”, col quale conferiva a Marina Doria il titolo di duchessa di Sant’Anna di Valdieri. Pochi giorni dopo, l’11 gennaio 1970, la sposò civilmente a Las Vegas, contraendo in seguito anche le nozze religiose a Teheran. Vittorio Emanuele ha vissuto in Svizzera, a Ginevra, fino al 2002, quando venne abolita la norma costituzionale che obbligava gli eredi maschi di Casa Savoia all’esilio. Nel 2002, con un comunicato emesso da Ginevra, prese ufficialmente le distanze dalle leggi razziali, per la prima volta nella storia di Casa Savoia. Sempre nel 2002 furono pubblicate dichiarazioni in cui accettava la fine della monarchia. Nello stesso anno, dopo l’abolizione dell’esilio, insieme con il figlio giurò per iscritto e senza condizioni, fedeltà alla Costituzione repubblicana e al presidente della Repubblica, rinunciando in tal modo esplicitamente a qualunque pretesa dinastica sullo Stato italiano. Nel novembre 2007 chiese allo Stato italiano 260 milioni di euro come risarcimento per l’esilio, oltre alla restituzione dei beni privati confiscati dallo Stato nel 1948, sulla scorta di quanto avvenuto per altri membri di famiglie reali europee costrette all’esilio. Richiesta che contraddice ciò che Vittorio Emanuele dichiarò con una lettera alla Camera l’8 luglio 2002: «Mentre apprendo con soddisfazione che la vicenda della mia famiglia sta per entrare nella fase finale della sua risoluzione, desidero assicurare che è mia intenzione ritirare il ricorso, che presentai avanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, una volta approvata la legge costituzionale abrogativa dei due primi commi della XIII disposizione transitoria e finale della costituzione e decorsi i tre mesi prescritti senza che venga richiesto il referendum confermativo» aveva dichiarato. Nel gennaio/febbraio del 2022, insieme alle sorelle e al figlio decise di chiamare in causa lo stato italiano per la restituzione dei gioielli di famiglia Savoia custoditi dalla Banca d’Italia. Nel corso degli anni alcuni scandali legati a vicende giudiziarie hanno contrassegnato la vita di Vittorio Emanuele, che è sempre stato prosciolto dalle accuse più gravi e condannato solo per porto abusivo di armi da fuoco a 6 mesi con la condizionale. Negli anni Settanta venne indagato, sia dal giudice istruttore Carlo Mastelloni della pretura di Venezia, sia dal giudice istruttore Carlo Palermo della pretura di Trento, per traffico internazionale di armi verso alcuni paesi mediorientali posti sotto embargo. Il caso venne successivamente trasferito alla pretura di Roma. Ma l’indagine fu poi archiviata. Il 18 agosto 1978, sull’isola di Cavallo (Corsica) Vittorio Emanuele sparò due colpi di carabina in mare aperto disse lui in seguito per giusyificarsi a causa del furto di un gommone. L’ipotesi d’accusa, sulla base della quale fu in seguito arrestato, fu che uno dei proiettili avesse colpito la coscia dello studente tedesco di 19 anni Dirk Geerd Hamer, figlio del noto medico Ryke Geerd Hamer, che stava dormendo in una barca vicina, il Mapagia della famiglia Leone, e che morì nel dicembre dello stesso anno dopo una lunga agonia. Di ciò, però, non vi fu prova, in quanto la difesa sostenne la presenza di altre persone che avrebbero sparato durante una colluttazione sulla spiaggia e poi fuggite e mai identificate dalla gendarmeria francese che restituì al proprietario italiano una P38 precedentemente sequestrata; la barca fu fatta smantellare in Sardegna senza che le autorità francesi potessero perquisirla. Anche il calibro e il rivestimento dei proiettili che ferirono il giovane risultarono diversi da quelli in dotazione alla carabina di Vittorio Emanuele (al quale sarebbe stato contestato, senza però addurre alcuna prova, di aver effettuato una sostituzione d’arma). Nel novembre del 1991 fu prosciolto dalla Camera d’accusa parigina dall’accusa di omicidio volontario e condannato a 6 mesi con la condizionale per porto abusivo d’arma da fuoco, “fuori dalla propria abitazione”. Il 21 giugno 2006, durante la sua detenzione nel carcere di Potenza, una microspia ha intercettato una sua conversazione in cui ammetteva di aver sparato il colpo alla gamba, vantandosi di essere uscito vittorioso dalla vicenda. Come molte personalità della classe dirigente italiana che promosse l’abrogazione delle norme transitorie e il rientro in Italia, anche lui risultò fra gli iscritti alla loggia massonica P2 di Licio Gelli con la tessera numero 1621 (Lista degli appartenenti alla P2). Il 16 giugno 2006 il GIP Alberto Iannuzzi del Tribunale di Potenza, su richiesta del PM Henry John Woodcock, ne ha ordinato l’arresto con le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e al falso, e associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione nell’ambito di un’indagine legata al casinò di Campione d’Italia. Il 23 giugno 2006, in seguito ad una parziale ammissione dei fatti che gli sono stati addebitati, per decisione del GIP di Potenza, è stato messo agli arresti domiciliari a Roma, in una casa del quartiere Parioli di proprietà della famiglia Fabbri, dove si è trasferito con la moglie Marina Doria. Il Tribunale del Riesame di Potenza, in data 20 luglio 2006, gli ha revocato gli arresti domiciliari, imponendogli il solo divieto di espatrio. Il 13 marzo 2007 la Procura della Repubblica di Como, sulla scorta del riesame integrale di tutte le intercettazioni, ha chiesto l’archiviazione delle due inchieste aperte nei confronti di Vittorio Emanuele di Savoia a Potenza e trasferite a Como, che coinvolgevano anche l’ex sindaco di Campione d’Italia Roberto Salmoiraghi, l’imprenditore Ugo Bonazza, Giuseppe Rizzani e la signora Vesna Tosic; il 27 marzo il GIP del tribunale di Como ha accolto l’istanza di archiviazione. Anche la procura di Roma si è orientata in tal senso perché i fatti non sussistono. Il 22 settembre 2010, in relazione alla vicenda di Campione d’Italia, il GUP del tribunale di Roma, Marina Finiti, al termine del giudizio con rito abbreviato, ha scagionato da ogni accusa Vittorio Emanuele di Savoia e altre cinque persone coinvolte nel filone di indagine “Savoiagate” con la formula “assolti perché il fatto non sussiste”. Il 3 luglio 2008 il PM Henry John Woodcock ha chiesto il rinvio a giudizio per Vittorio Emanuele di Savoia con il reato di “associazione a delinquere finalizzata alla corruzione ed al falso contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica ed il patrimonio”. Nello specifico, Woodcock contesta a Vittorio Emanuele di aver “promosso e organizzato una holding del malaffare specializzata in corruzioni di vario tipo, specie nel settore del gioco d’azzardo”: lui ed un’altra dozzina di indagati sarebbero coinvolti in un giro di tangenti per ottenere dai monopoli di stato certificati per l’installazione delle cosiddette “macchinette mangiasoldi”, attività che avrebbe anche favorito il riciclaggio di denaro sporco tramite “relazioni con casinò autorizzati, ed, in particolare, con il casinò di Campione d’Italia”. Nel settembre 2010 Vittorio Emanuele di Savoia è stato assolto con formula piena dal GUP del tribunale di Roma. Il 23 settembre 2009 il GUP di Potenza Luigi Barrella ha rinviato a giudizio, per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici funzionari, Vittorio Emanuele di Savoia su richiesta dell’ex PM di Potenza, Henry John Woodcock. Il rinvio a giudizio di Vittorio Emanuele era stato chiesto da Woodcock nell’ambito dell’inchiesta cosiddetta Savoiagate. Il procedimento fu trasferito a Roma, per competenza territoriale e ivi Vittorio Emanuele di Savoia fu assolto poiché il fatto non sussiste. Il 23 febbraio 2015 Vittorio Emanuele di Savoia ha ottenuto un risarcimento di 40.000 euro per i giorni trascorsi in cella da innocente.
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