Il clamoroso attacco dello scorso 1 aprile contro la sede consolare iraniana a Damasco attribuito a Israele nel quale un alto esponente della Brigata al-Quds (Quds è il nome arabo della città di Gerusalemme e significa “la città santa”), il comandante dei pasdaran Mohamad Reza Zahedi è stato ucciso, ha letteralmente fatto infuriare il presidente Usa Joe Biden che ha strigliato Benyamin Netanyahu in una lunga e “tesa” telefonata nella quale ha intimato al premier israeliano di cambiare immediatamente e radicalmente registro nella guerra a Gaza. Israele mettendo a segno questo colpo ha dimostrato di poter colpire in modo mirato obiettivi considerati inviolabili come le sedi diplomatiche all’estero. Ma nello scenario internazionale continua a perdere punti la sua sempre più acerrima rivalsa. Per Biden questo episodio che si aggiunge a un altro grave fatto, ossia alla recente uccisione da parte dell’esercito israeliano di 7 volontari della World Central Kitchen, che è stata la cosiddetta goccia che ha fatto traboccare il vaso. Così per 45 minuti Biden ha incalzato il suo interlocutore chiarendogli “la necessità che Israele annunci e attui una serie di passi specifici, concreti e misurabili per affrontare i danni ai civili e la sicurezza degli operatori umanitari” nella Striscia.
“La politica degli Stati Uniti sarà determinata dalla nostra valutazione dell’azione immediata di Israele su questi passi”, ha fatto sapere la Casa Bianca esplicitando, attraverso le parole del portavoce per la sicurezza nazionale John Kirby, la “crescente frustrazione” di Biden verso Netanyahu. Vogliamo vedere cambiamenti reali nel giro di ore, giorni, come un enorme aumento degli aiuti umanitari e la riduzione della violenza su civili e cooperanti, vogliamo non solo annunci ma esecuzione e implementazione delle misure”, ha avvertito Kirby senza usare giri di parole. Biden ha inoltre sottolineato che “un cessate il fuoco immediato è essenziale per stabilizzare e migliorare la situazione umanitaria” e “ha esortato Netanyahu a dare potere ai suoi negoziatori per concludere senza indugio un accordo per riportare a casa gli ostaggi”.
Israele intraprenderà “azioni immediate” per aumentare l’afflusso di aiuti alla popolazione di Gaza attraverso il porto di Ashdod e riaprendo il valico di Erez, ha deciso il gabinetto di guerra. In una nota diffusa in nottata si riferisce che “questo aumento di assistenza eviterà una crisi umanitaria ed è essenziale per garantire la continuazione dei combattimenti e raggiungere gli obiettivi della guerra”. Gli Usa plaudono ai “passi annunciati stasera dal governo israeliano su richiesta del presidente Biden dopo la telefonata col primo ministro Netanyahu”, e chiedono che ora siano “attuati pienamente e rapidamente” afferma la portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale Usa Adrienne Watson. Allo stesso tempo il capo della Casa Bianca ha espresso ad Israele “l’incrollabile sostegno” americano di fronte alle minacce provenienti dall’Iran che stanno agitando lo Stato ebraico. A fornire la migliore fotografia del livello di allarme in queste ore nel Paese ci sono le misure messe in atto dall’Idf dopo “una valutazione” dei vertici militari: sono stati richiamati i riservisti della difesa aerea, è stata rinviata la prevista smobilitazione delle “unità combattenti” e sono stati bloccati per motivi di sicurezza alcuni segnali Gps anche nel centro di Israele, lontano quindi dai confini con Gaza, Libano e Siria, tutti terreni di scontro armato in corso.
Netanyahu ha convocato in serata il Consiglio di sicurezza a Gerusalemme al termine di una giornata densa di preoccupazione e allarmi anche tra la gente comune. “Sapremo difenderci e agiremo secondo il semplice principio che faremo del male a chiunque ci farà del male o vorrà farci del male”, ha avvertito il primo ministro. “Per anni – ha aggiunto – Teheran ha lavorato contro di noi sia direttamente sia attraverso i suoi emissari, e quindi Israele ha lavorato contro l’Iran e i suoi emissari, sia in modo difensivo che offensivo”. Una risposta di Teheran è data per scontata da molti analisti e lo stesso apparato di difesa israeliano ne è convinto. “Ci aspettano giorni complessi, non è detto che il peggio sia dietro di noi”, ha ammesso il capo dell’intelligence militare Aharon Aliva. “Ma siamo pronti per tutti gli scenari”, ha precisato il portavoce dell’Idf Daniel Hagari, aggiungendo che “le forze sono ben schierate in formazioni difensive e offensive” con una “protezione su più livelli e aerei in cielo 24 ore su 24”. Il dubbio a questo punto non è se ma dove e quando l’Iran colpirà. Media libanesi vicini agli Hezbollah hanno parlato di un fantomatico avviso della Cia a Israele di un possibile attacco “entro 48 ore”, ma di questo non c’è alcuna conferma. Fonti iraniane hanno riferito alla Reuters che Teheran intende continuare ad evitare il conflitto diretto con Israele e gli Stati Uniti ma che al tempo stesso sostiene le milizie alleate che hanno colpito lo Stato ebraico, le truppe statunitensi e le navi del Mar Rosso. Haaretz segnala tre scenari di possibili rappresaglie: un attacco di droni o di missili da crociera direttamente dall’Iran diretti verso infrastrutture israeliane, l’ipotesi che pare meno probabile; intensi attacchi di missili dal Libano o dalla Siria attraverso gli Hezbollah e altre milizie sciite o ancora “attentati alle ambasciate israeliane all’estero”. In serata alcuni media israeliani hanno riferito che Israele ha ordinato la chiusura delle sue sedi diplomatiche nel mondo ma il ministero degli Esteri a Gerusalemme ha smentito l’indiscrezione. Al di là dell’allarme che si percepisce nel Paese, l’Idf in serata ha cercato di tranquillizzare la popolazione facendo sapere che “non è necessario acquistare generatori, accumulare cibo e prelevare denaro dai bancomat”. Almeno per il momento.
Nel frattempo prosegue la corsa elettorale negli Stati Uniti. Joe Biden e Donald Trump si sfideranno alle elezioni di novembre: entrambi hanno raggiunto il numero sufficiente di delegati, e verranno confermati alle convention del Partito Democratico e Repubblicano, a Chicago e Milwaukee. Alla tradizionale cena dei giornalisti, Biden ha detto: “Alle elezioni c’è un candidato troppo anziano e mentalmente inadatto alla presidenza. L’altro sono io”. Trump, in un comizio, ha sottolineato che se non eletto “sarà un bagno di sangue per l’America”. Successivamente ha festeggiato per la somma di denaro raccolta, nell’evento organizzato in Florida dal miliardario di hedge fund John Paulson, ben 50,5 milioni di dollari. La cifra è quasi il doppio dei 26 milioni raccolti da Joe Biden con Bill Clinton e Barack Obama.
Il post di Trump
“La più grande serata di raccolta fondi di tutti i tempi. Doppiamo i numeri di Biden della scorsa settimana al Radio City. La gente non vede l’ora di cambiare. Vogliono rendere di nuovo grande l’America”. Lo ha scritto Donald Trump sul suo social, Truth, commentando la raccolta record di quasi 50 milioni di dollari a un evento a cui hanno partecipato una serie di ricchi donatori della sua campagna. Il risultato arriva a una settimana dalla serata al Radio City a cui aveva partecipato Joe Biden assieme a due ex presidenti, Bill Clinton e Barack Obama.
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