O.J. Simpson, all’anagrafe Orenthal James Simpson in tempo considerato uno dei più grandi giocatori nella storia del football, è morto per un cancro alla prostata lo scorso 10 aprile. Una morte che non è stata una sorpresa per chi lo conosceva bene, e quindi sapeva tutto del suo stato di salute, ma lo è stata per i molti suoi fan, che lo hanno sempre pensato invincibile. Lui che è entrato a far parte dello stretto giro di sportivi che hanno avuto l’onore di entrare nella Pro Football Hall of Fame, con la stoffa da campione già quando frequentava l’Università della California meridionale (USC), dove ha giocato per gli USC Trojans e ha vinto nel 1968 l’Heisman Trophy, nel 1973 fu il primo giocatore a raggiungere un traguardo che molti pensavano non potesse essere raggiunto in una stagione con così pochi match, percorrendo quasi 2mila chilometri in 14 partite.
Un vero fenomeno, tenuto conto che da bambino era affetto da rachitismo e fu costretto a portare le bretelle sulle gambe fino all’età di cinque anni quando i suoi genitori decisero di divorziare. Lui poi fu allevato dalla madre Eunice Durden, che lavorava come impiegata nel settore ospedaliero. Mentre il padre, Jimmy Lee Simpson (1920-1986), chef e custode in una banca divenne conquistò le cronache diventando una nota drag queen della zona di San Francisco, facendo coming out solo poco tempo prima della morte per AIDS. Cresciuto a San Francisco, ha vissuto nel complesso residenziale di Potrero Hill. Durante l’adolescenza entrò a far parte di una gang di strada chiamata The Persian Warrior e fu brevemente incarcerato al San Francisco Youth Guidance Center.
Simpson si mise in mostra grazie alle sue doti nel football nel ruolo di running back già dalle superiori e al college prese il via la sua carriera sportiva; nel suo anno migliore (l’ultimo all’università, cioè il 1968) venne nominato atleta dell’anno e vinse l’ambìto Heisman Trophy. In diciotto gare segnò il considerevole record di 3.187 yard e ventuno touchdown, che gli aprì le porte nel 1983 della College Football Hall of Fame.
Uscito dal college nel 1969 si accasò ai Buffalo Bills, che lo scelsero come primo assoluto al Draft NFL 1969. Simpson tuttavia puntava a giocare nella squadra della sua città, i San Francisco 49ers, dove entrò però solo alla fine della carriera. I primi anni con i Bills non fecero registrare risultati di rilievo, ma poi si riprese: fu il miglior running back del 1972 e nel 1973. Una carriera in salita, la sua, nel senso positvo ovviamente, che lo portò, chiusa la parentesi con lo sport, a entrate nel mondo dello spettacolo riscuotendo grande successo. Un mondo che in realtà lo aveva conquistato anche prima del ritiro dal football. Simpson recitò in piccole parti in Radici (1977) e L’uomo del Klan (1974), L’inferno di cristallo (1974), Cassandra Crossing (1976), Capricorn One (1978), il film comico Back to the Beach (1987) e la trilogia di Una pallottola spuntata (1988, 1991, 1994). Nel 1979 avviò la propria azienda di produzione cinematografica, la Orenthal Productions, che si occupava prevalentemente di programmi televisivi come Goldie and the Boxer con Melissa Michaelsen (1979 e 1981) e Cocaine and blue eyes (1983), episodio pilota di un giallo a puntate proposto su NBC.
Il 1994 l’annus horribilis, mentre la NBC sta vagliando il progetto di Frogmen, un’altra serie con lui protagonista, O.J. il 13 giugno fu accusato di aver ucciso l’ex moglie Nicole Brown, dalla quale aveva divorziato nel 1992 e l’amico di lei Ronald Goldman. Il suo processo televisivo durato 16 mesi, soprannominato “il processo del secolo”, venne giudicato una farsa da molti americani e finì per eclissare il suo straordinario record come uno dei running back più dotati nella storia del calcio. L’ex campione nel 1995 venne assolto, ma poi nel 1997 nella causa civile intentata dalle famiglie delle vittime, venne giudicato colpevole e condannato a pagare 33,5 milioni di dollari ai parenti della Brown e di Goldman. Somma che non riuscì mai a pagare.
Nel 2008 fu condannato a trentatré anni di carcere (dei quali nove senza libertà vigilata) per rapina a mano armata e sequestro di persona. Poi venne liberato il 1º ottobre 2017 in regime di libertà vigilata.
Molti ricordano ancora quando nel 2006 Simpson partecipò a un programma di candid camera intitolato Juiced nel quale si vedeva l’ex atleta mentre coinvolgeva gente comune in scherzi segretamente ripresi e alla fine di ogni video gridava “Sei in Juiced!”. Un episodio in particolare finì sulle prime pagine dei più importanti quotidiani di tutto il mondo: quello in cui Simpson entrò in un negozio di auto usate a Las Vegas per vendere per scherzo la sua Ford Bronco bianca, divenuta famosa durante il suo inseguimento dopo la scoperta dell’omicidio dell’ex moglie e l’amico di lei, sull’autostrada 405 di Los Angeles prima del suo arresto. Oltre che nei ruoli di attore, Simpson è stato apprezzato anche come commentatore per i programmi Monday Night Football e per NFL on NBC su NBC.
Altre vicende giudiziarie
L’8 marzo 2004 il canale televisivo via cavo DirecTV accusò Simpson davanti a una Corte Federale di Miami di uso illegale di apparecchiature elettroniche per captare abusivamente il segnale televisivo. Simpson venne condannato al risarcimento di 25.000 dollari alla compagnia, oltre a pagare 33.678 $ per spese processuali e parcelle agli avvocati. Il 16 settembre 2007 fu arrestato per furto con scasso, accusato, insieme a quattro amici, di aver rubato da una stanza d’albergo a Las Vegas dei cimeli che, a suo dire, gli erano stati a sua volta sottratti tempo prima. Simpson sostenne di non essere entrato con un’arma da fuoco nella stanza d’albergo pur ammettendo di aver portato via diversi oggetti dal “valore affettivo” che, a suo avviso, gli appartenevano di diritto, risalenti agli inizi degli anni novanta, quando era una stella sportiva. Nel gennaio 2008 Simpson tornò in carcere a Las Vegas per scadenza dei termini di libertà su cauzione. Il 4 ottobre 2008, dopo tredici ore di camera di consiglio, la giuria lo riconobbe colpevole di rapina e sequestro di persona per l’irruzione nella camera d’albergo. Al processo Simpson ammise di aver organizzato una finta vendita di cimeli per indurre i commercianti a portare con sé gli oggetti, dei quali poi si impossessò, ma negò che lui o alcuno dei suoi complici avessero delle armi. Fu però incastrato dalla confessione di uno dei suoi complici, che nel patteggiare con la polizia ammise di aver portato, insieme ad altri, una pistola e di averla mostrata ai commercianti. Il 5 dicembre 2008 Simpson venne condannato a 33 anni di carcere per rapina e sequestro di persona di cui i primi 9 senza possibilità di libertà vigilata.
O.J. è uscito di prigione il 1º ottobre 2017 per scontare i successivi 9 anni in libertà vigilata. Una vita di di alti e bassi la sua, sempre borderline, nonostante il successo raggiunto in tutto. Diventato un’immagine di successo per i neri americani ed è stato accolto con favore da persone di tutte le razze. “Non sono nero, sono OJ “, amava dire agli amici. “Ho avuto una vita fantastica, grandi amici”, disse successivamente con una dichiarazione che aveva i toni di una nota prima di un suicidio. “Per favore, ricordatevi del vero OJ e non a questa persona perduta.”
“Non abbiamo bisogno di tornare indietro e rivivere il giorno peggiore della nostra vita”, ha detto all’AP 25 anni dopo il doppio omicidio. “L’argomento del momento è l’argomento su cui non tornerò mai più. Io e la mia famiglia siamo passati a quella che chiamiamo la “zona non negativa”. Ci concentriamo sugli aspetti positivi”.
L’ex campione si è sposato due volte. Con la prima moglie nel 1985. Da quel matrimonio ebbe due figli, Jason e Aaren, che annegò da bambino in un incidente in piscina nel 1979, lo stesso anno in cui lui e Whitley divorziarono. Due anni dopo convolò a nozze con Nicole Brown. Simpson ha vissuto i suoi ultimi anni a Las Vegas, per lo più lontano dagli occhi del pubblico, ma occasionalmente utilizzava i social media per esprimere opinioni sullo sport e sul suo stile di vita da country club. Nonostante i numerosi arresti, il fascino del pubblico per lui non è mai svanito. Nel 2016 è stato oggetto di una miniserie FX e di un documentario ESPN in cinque parti. “Non credo che la maggior parte dell’America creda che sia stato io (a uccidere la moglie e il suo migliore amico, ndr)”, disse Simpson al New York Times nel 1995, una settimana dopo che la giuria lo giudicò colpevole. “Ho ricevuto migliaia di lettere e telegrammi da persone che mi sostengono” commentò spavaldo. Dodici anni dopo, scrisse anche un libro che doveva intitolarsi If I Did It (Se l’avessi fatto), con l’obiettivo di offrire il suo ipotetico resoconto degli omicidi di cui era stato giudicato colpevole. Ma in seguito a un’ondata di indignazione, la Harper Collins di proprietà della News Corp di Rupert Murdoch ne cancellò la pubblicazione. La famiglia di Goldman, sempre in lotta per ottenere il risarcimento multimilionario stabilito dal tribunale, ottenne il controllo del manoscritto che ribattezzò If I Did It: Confessions of the Killer (Se l’avessi fatto: confessione di un killer). E meno di due mesi dopo aver perso i diritti sul libro, Simpson venne arrestato a Las Vegas. “Ho fatto parte della storia del gioco”, ha detto anni dopo. “Se non avessi fatto nient’altro nella mia vita, avrei lasciato il segno”.
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