Hunter Biden, il secondogenito del presidente americano in carica Joe Biden, è stato dichiarato colpevole di tutte le accuse relative al suo uso di droga e al possesso di armi. Se venisse condannato al carcere, è molto improbabile che rischi fino a 25 anni di reclusione come alcuni hanno ipotizzato, tenuto conto che per l’accusa di consumo illegale di droga quand’era in possesso contestualmente pure di un’arma, la pena massima prevista era ed è tutt’oggi di 10 anni. Il giudice Maryellen Noreika ora deve fissare l’udienza di condanna nelle prossime settimane. Biden incontrerà anche gli agenti di sorveglianza per un rapporto pre-sentenza che sarà utilizzato dal giudice e poiché come figlio del presidente gode della protezione dei servizi segreti in caso di condanna al carcere, non sarebbe trattenuto in custodia. Potrebbe invece ricevere una comunicazione con la data per costituirsi e ad oggi l’unica cosa certa è che la squadra di legali di Biden avrà 30 giorni per presentare appello.
Quali erano le accuse?
Biden ha dovuto affrontare tre accuse federali: due capi d’imputazione per aver rilasciato false dichiarazioni e uno per possesso illegale di armi. Le accuse si riferiscono tutte all’acquisto di un revolver in un negozio di armi del Delaware nell’ottobre 2018, che ha conservato per circa 11 giorni. Per stessa ammissione di Biden, ha detto che all’epoca era dipendente totalmente dal crack di cocaina. Le due accuse di falsa dichiarazione derivavano dalle accuse secondo cui avrebbe mentito sul suo uso di droga su un modulo imposto dal governo federale quando ha acquistato l’arma. Il terzo capo d’imputazione riguarda il possesso di un’arma da fuoco mentre faceva uso di sostanze stupefacenti.
Prima del verdetto di colpevolezza, il presidente Biden aveva detto che non avrebbe perdonato suo figlio. Lasciando chiaramente intendere che la giustizia doveva fare il suo corso. E che lo avrebbe lasciato senza aiuti prima e poi dopo la sentenza. “Accetterò l’esito di questo caso e continuerò a rispettare il processo giudiziario mentre Hunter considera un appello”, ha detto Joe Biden. Per condannare Biden, i pubblici ministeri hanno dovuto convincere i giurati che aveva consapevolmente rilasciato false dichiarazioni sul modulo nel tentativo di ingannare il negozio che gli aveva venduto la pistola. Tra coloro chiamati a testimoniare la signora Biden, ossia la mamma di Hunter. Poi l’ex moglie di Biden, Kathleen Buhle, e l’ex fidanzata Zoe Kestan, che hanno entrambe parlato della sua dipendenza. I pubblici ministeri hanno anche sottolineato le memorie di Biden del 2021, in cui descriveva in dettaglio le sue esperienze di tossicodipendente che era “sveglio ventiquattr’ore al giorno, fumando ogni 15 minuti, sette giorni alla settimana”. “Tutta la mia energia ruotava attorno al fumo di droga e al prendere accordi per acquistarla, dando da mangiare alla bestia”, ha scritto nel libro.
Hunter Biden ha ripetutamente accusato i repubblicani di sfruttare la sua dipendenza e il suo recupero per “mettere in imbarazzo” e attaccare suo padre. Tra le prove più importanti del processo ci sono le informazioni sul famigerato laptop di Biden, che è stato al centro di intense speculazioni mediatiche e dell’attenzione dei mezzi di informazione conservatori. Il laptop conteneva i messaggi di testo e le immagini inviati e ricevuti da Biden intorno alla data dell’acquisto dell’arma, che secondo l’accusa costituiscono la prova della sua colpevolezza. Gli stessi avvocati di Biden hanno sostenuto che il computer è stato manomesso prima che cadesse nelle mani degli investigatori. Erika Jensen, un’agente dell’FBI chiamata a testimoniare sul contenuto del portatile, invece ne ha confermato l’autenticità ai giurati. Il procuratore speciale incaricato di supervisionare le indagini su Hunter Biden, David Weiss, ha affermato che l’argomento della manomissione è una “teoria del complotto” senza “prove a sostegno”. Il portatile è stato anche al centro di teorie non provate che collegano Biden e suo padre alla corruzione, teoria che entrambi negano.
Le altre accuse di Hunter Biden
Biden in California è stato accusato di avere eluso un accertamento fiscale, non aver compilato e pagato correttamente le tasse e presentato una dichiarazione dei redditi fraudolenta, come poi da lui ammesso diversi mesi dopo nel corso di uno spettacolare patteggiamento.
I lutti di Joe Biden
La vita di Joe Biden è stata segnata da pesanti lutti. Nel 1972, in un incidente d’auto, perse la moglie Neilla Hunter, che aveva sposato nel 1966, e la figlia più piccola, Naomi Christina, di soli 13 mesi. Gli altri due figli, Joseph R. “Beau” Biden e Robert Hunter, rimasero gravemente feriti. Joe Biden, appena eletto in Congresso, crebbe da solo i due ragazzi, facendo avanti e indietro fra Washington e Wilmington, in Delaware, per non lasciarli soli. Nel 1977, incoraggiato anche da loro a rifarsi una vita affettiva, si sposò con Jill Tracy Jacobs, dalla quale ebbe una figlia, Ashley, nata l’8 giugno 1981.
Il figlio maggiore, Beau Biden
Il figlio maggiore di Joe Biden, Joseph Robinette “Beau” Biden III, nacque il 3 febbraio 1969. Si laureò in Legge all’Università di Syracuse e ottenne un Baccellierato (un titolo accademico ecclesiastico rilasciato dalle università e facoltà pontificie) in Arti all’Università della Pennsylvania Dal 1995 al 2004 lavorò al Dipartimento di giustizia americano. Nel 2002 sposò Hallie Olivere, dalla quale ebbe una figlia e un figlio, Natalie Naomi Biden e Robert Hunter Biden II, rispettivamente nel 2004 e nel 2006, amatissimi nipoti di Biden. Nel 2003 entrò nell’esercito americano frequentando la Judge Advocate General’s Corps School presso l’Università della Virginia come membro della Delaware Army National Guard, dove conseguì il grado di maggiore. Nel 2006 corse come candidato procuratore generale del Delaware e venne eletto. Riconfermato nel 2010, rinunciò a ricandidarsi per un terzo mandato e presentò la sua candidatura nel 2014 a governatore. Tuttavia, nel 2013 gli fu diagnosticato un tumore al cervello. Morì il 30 maggio 2015 all’età di 46 anni.
Il secondogenito, Robert Hunter
Nato il 4 febbraio 1970, il secondogenito di Joe Biden oggi è un avvocato, imprenditore e lobbista statunitense. Ha co-fondato la Rosemont Seneca Partners, una società di consulenza internazionale. Dal 2006 al 2009 è stato vicepresidente della National Railroad Passenger Corporation. Fino all’ottobre 2019, ha fatto parte del Consiglio di amministrazione della BHR Partners, un fondo di investimento privato cinese da lui co-fondato. Nel 2019, il presidente Donald Trump ha erroneamente affermato che Joe Biden aveva chiesto il licenziamento di un procuratore ucraino che indagava su Hunter Biden al fine di proteggerlo. Tuttavia, Hunter Biden non era sotto indagine e non ci sono state prove di illeciti commessi da lui in Ucraina. Il presunto tentativo di Trump di esercitare pressioni sul governo ucraino a fini personali per indagare sugli affari di Biden, trattenendo gli aiuti che erano previsti per il governo ucraino, ha innescato l’impeachment del presidente settembre 2019. Trump ha puntato fino agli ultimi giorni prima delle elezioni sulla figura del “figlio scapestrato” di Biden, che nella sua vita, segnata da numerosi traumi, ha avuto problemi con alcol e droghe, oltre che relazioni affettive molto discusse, finite sotto i riflettori dell’opinione pubblica.
La figlia più giovane, Ashley Biden
Ashley, 39 anni, figlia di Joe Biden e Jill Tracy Jacobs, è un’attivista, filantropa e imprenditrice da sempre impegnata per la giustizia sociale. È stata direttrice esecutiva del Delaware Center for Justice dal 2014 al 2019, organizzazione non governativa che si batte contro la pena di morte e lavora a favore di una riforma del sistema penale americano. Ha lavorato presso il Delaware Department of Services for Children, Youth, and Their Families e ha fondato la società di moda etica, Livelihood, che collabora con Gilt Groupe per raccogliere fondi per programmi comunitari incentrati sull’eliminazione della disparità di reddito negli Stati Uniti.
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