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Italia, oltre 4 milioni di residenti in meno entro il 2050 e quattro famiglie su 10 saranno costituite da persone sole


Tra il 2014 e il 2023, sotto l’azione di dinamiche demografiche recessive, l’Italia secondo gli ultimi dati Istat appena pubblicati, ha perso circa un milione 350 mila residenti (da 60,3 milioni a poco meno di 59). In linea con tale tendenza, lo scenario di previsione “mediano” contempla un ulteriore calo di 439mila individui entro il 2030 (58,6 milioni), con un tasso di variazione medio annuo pari al -1,1‰. Nel medio termine la diminuzione della popolazione risulterebbe più accentuata: da 58,6 milioni a 54,8 milioni tra il 2030 e il 2050 (tasso di variazione medio annuo pari al -3,3‰).

In poche parole ciò significa che entro il 2080 la popolazione scenderebbe a 46,1 milioni, diminuendo di ulteriori 8,8 milioni rispetto al 2050 (-5,8‰ in media annua) mentre il calo complessivo dall’anno base dell’esercizio (2023) ammonterebbe a 12,9 milioni di residenti.

Nell’ipotesi più favorevole, quindi, la popolazione potrebbe subire una perdita di “soli” 5,9 milioni tra il 2023 e il 2080, di cui 2,0 milioni già entro il 2050. Nel caso meno propizio, invece, il calo di popolazione toccherebbe i 19,7 milioni di individui entro il 2080, 6,3 milioni dei quali già in vista del 2050. In conclusione, nell’ambito di ipotesi ragionevoli e ragionate (quelle cioè potenzialmente prospettabili per il Paese, a meno di ipotizzare scenari da replacement level) la popolazione diminuirà, ma l’entità della riduzione può presentare evidenze numeriche profondamente diverse una dall’altra, che richiamano nell’immagine scenari non solo demografici ma anche sociali ed economici altrettanto diversi.

Lo spopolamento investe tutto il Paese

Il progressivo spopolamento investe tutto il territorio, ma con differenze tra Nord, Centro e Mezzogiorno che fanno sì che tale questione raggiunga una dimensione significativa soprattutto in quest’ultima ripartizione. Secondo lo scenario mediano, nel breve termine si prospetta nel Nord (+1,5‰ annuo fino al 2030) un lieve ma significativo incremento di popolazione, al contrario nel Centro (-0,9‰) e soprattutto nel Mezzogiorno (-4,8‰) si preannuncia un calo di residenti.

Fattori strutturali influenzeranno nascite e decessi, incerto il quadro migratorio

Lo scenario mediano mostra che, nel passaggio che condurrà la popolazione dagli odierni 59 milioni di individui a circa 46 nel 2080, si avranno 21 milioni di nascite, 44,4 milioni di decessi, 18,2 milioni di immigrazioni dall’estero e 8 milioni di emigrazioni. Nello scenario più attendibile, quindi, la popolazione muta radicalmente, e non solo sotto il profilo quantitativo. Le attuali anziane generazioni, infatti, portatrici di valori, usi, livelli di istruzione e competenze proprie lasceranno il passo alle nuove che a loro volta saranno portatrici di pari caratteristiche ma evolute.

In che misura accadrà tale trasformazione dipende dall’incertezza associata alle ipotesi sul futuro comportamento demografico, ma non fino al punto di portare in equilibrio, ad esempio, l’attuale distanza tra nascite e decessi. Anche negli scenari di natalità e mortalità più favorevoli il numero di nascite non compensa quello dei decessi. Ad esempio, il limite superiore dell’intervallo di confidenza per le nascite (scenario nel quale il numero medio di figli per donna cresce fino a 1,85 nel 2080) identifica una quantità costantemente più bassa di quella dei decessi previsti lungo il limite inferiore.

Nello scenario mediano, dove si contempla una crescita della fecondità da 1,20 figli per donna nel 2023 a 1,46 nel 2080, il massimo delle nascite risulta pari a 404mila unità nel 2038. In seguito, il previsto aumento dei livelli riproduttivi medi non porta un parallelo aumento delle nascite, in quanto contrastato da un calo progressivo delle donne in età fertile. Si tenga presente che nel 2023 il numero delle donne in età 15-49 anni ammonta a 11,6 milioni e che, in base allo scenario mediano, tale contingente è destinato a contrarsi fino a 9,2 milioni nel 2050 e a 7,7 milioni nel 2080. D’altra parte, la prospettiva di una fecondità in rialzo fino a 1,85 figli per donna nel 2080, registrando un intermedio di 1,6 figli per donna nel 2050, ossia quanto ipotizzato nello scenario più favorevole, restituisce un livello di nascite inferiore alle 500mila unità annue.

Simili perturbazioni strutturali interesseranno l’evoluzione della mortalità, per la quale si prevede annualmente un numero sostenuto di eventi di decesso, fino a un picco di 851mila nel 2059 secondo lo scenario mediano, anche in un contesto di buone aspettative sull’evoluzione della speranza di vita (86,1 e 89,7 anni quella prevista alla nascita nel 2080, rispettivamente per uomini e donne, con un guadagno di 4,8 anni per i primi e di 4,4 anni per le seconde sul 2023).

Lo scenario mediano contempla movimenti migratori netti con l’estero positivi. A una prima fase molto intensa, fino al 2040, cui corrisponde una media di flussi netti superiore alle 200mila unità annue, segue una fase di stabilizzazione che si protrae fino al 2080 a una media annuale di 165mila unità.

Crescerà lo squilibrio tra vecchie e nuove generazioni

La struttura della popolazione residente è oggetto da anni di uno squilibrio tra nuove e vecchie generazioni, dovuto alla combinazione, tipicamente italiana, dell’aumento della longevità e di una fecondità costantemente bassa. Oggi il Paese presenta la seguente articolazione per età: il 12,4% degli individui ha fino a 14 anni di età; il 63,6% tra 15 e 64 anni; il 24,0% dai 65 anni di età in su. L’età media, nel frattempo, si è portata a 46,4 anni e ciò colloca l’Italia, subito dopo il Giappone, tra i leader mondiali sul versante della transizione demografica, insieme ad altri Paesi dell’area mediterranea (Portogallo, Grecia, Spagna) e alla Germania. Le prospettive future comportano un’amplificazione di tale processo, governato più dall’attuale articolazione per età della popolazione che dai cambiamenti ipotizzati circa l’evoluzione della fecondità, della mortalità e delle dinamiche migratorie, in base a un rapporto di importanza, all’incirca, di due terzi e un terzo rispettivamente.  

Nel 2050 gli over 65 potrebbero rappresentare il 34,5% della popolazione

Nel 2050 le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare il 34,5% del totale secondo lo scenario mediano, mentre l’intervallo di confidenza al 90% presenta un minimo del 33,1% e un massimo del 35,8%. Una significativa crescita è attesa anche per la popolazione di 85 anni e più, quella all’interno della quale si concentrerà una più importante quota di individui fragili, dal 3,8% nel 2023 al 7,2% nel 2050 con margini di confidenza tra il 6,4 e l’8%. Comunque vadano le cose, quindi, l’impatto sulle politiche di protezione sociale sarà importante, dovendo porsi l’obiettivo di fronteggiare fabbisogni per una quota crescente di anziani. Sul versante previdenziale, ad esempio, le ipotesi sulle prospettive della speranza di vita a 65 anni contemplate nello scenario mediano presagiscono una crescita importante, a legislazione vigente, dell’età al pensionamento. Rispetto agli attuali 67 anni, si passerebbe a 68 anni e 2 mesi a decorrere dal 2035, a 69 anni precisi dal 2045 e a 69 anni e 10 mesi dal 2055.

I giovani fino a 14 anni rappresenteranno entro il 2050 l’11,2% della popolazione

I giovani fino a 14 anni di età, sebbene nello scenario mediano si preveda una fecondità in parziale recupero, potrebbero rappresentare entro il 2050 l’11,2% del totale, registrando una moderata flessione in senso relativo ma non in assoluto. Infatti, sul piano dei rapporti intergenerazionali si presenterà un rapporto squilibrato tra ultrasessantacinquenni e ragazzi, in misura di oltre tre a uno.

A contribuire alla crescita assoluta e relativa della popolazione anziana concorrerà soprattutto il transito delle folte generazioni degli anni del baby boom (nati negli anni ’60 e prima metà dei ’70) tra le età adulte e senili, con concorrente riduzione della popolazione in età lavorativa. Nei prossimi trent’anni, infatti, la popolazione di 15-64 anni scenderebbe al 54,3% in base allo scenario mediano, con una forchetta potenziale compresa tra il 53,3% e il 55,5%, evidenziando anche qui un quadro evolutivo certo, con importanti ricadute sul mercato del lavoro e sui fabbisogni da garantire al sistema di welfare.

Tra le future trasformazioni demografiche va evidenziato il processo di invecchiamento nel Mezzogiorno. Per quanto tale ripartizione geografica presenti ancora oggi un profilo per età più giovane, l’età media dei suoi residenti transita da 45,5 anni nel 2023 a 51,5 anni nel 2050 (scenario mediano), sopravanzando sia il Nord, che nel medesimo anno raggiunge un’età media di 50,2 anni, sia il Centro che si attesta in quel momento a 51,1 anni.

Nel 2043 in Italia ci saranno circa 27 milioni di famiglie

Nei prossimi 20 anni si prevede un aumento di circa 930mila famiglie: da 26 milioni nel 2023 si arriverà a 26,9 milioni nel 2043 (+3,5%). Si tratta di famiglie sempre più piccole, caratterizzate da una maggiore frammentazione, il cui numero medio di componenti scenderà da 2,25 persone nel 2023 a 2,08 nel 2043. Anche le famiglie con almeno un nucleo (ossia contraddistinte dalla presenza di una relazione di coppia o di tipo genitore-figlio) varieranno la loro dimensione media da 2,94 a 2,79 componenti. L’aumento del numero di famiglie deriverà prevalentemente da una crescita delle famiglie senza nuclei (+16%) che salgono da 10 milioni a 11,5, arrivando a rappresentare nel 2043 il 42,9% delle famiglie totali (nel 2023 erano il 38,3%). Al contrario, le famiglie con almeno un nucleo diminuiranno di oltre il 4%: tali famiglie, nel 2023 pari a 16,1 milioni (il 61,7% del totale), nel 2043 scenderanno a 15,4 milioni, costituendo così solo il 57,1% delle famiglie (Prospetto 3).

Un tale calo delle famiglie con nuclei deriva dalle conseguenze di lungo periodo delle dinamiche
socio-demografiche in atto in Italia. L’invecchiamento della popolazione, con l’aumento della speranza di vita, genera infatti un maggior numero di persone sole, il prolungato calo della natalità incrementa le persone senza figli, mentre l’aumento dell’instabilità coniugale, in seguito al maggior numero di scioglimenti di legami di coppia, determina un numero crescente di individui soli e di monogenitori.

Tra 20 anni quattro famiglie su 10 saranno costituite da persone sole

L’aumento della speranza di vita e dell’instabilità coniugale fanno sì che il numero di persone che vivono da sole, vere e proprie “micro-famiglie”, cresceranno nel complesso del 15%, facendo aumentare il loro ammontare da 9,3 milioni nel 2023 a 10,7 nel 2043. Tra l’altro, tale aumento, tanto assoluto quanto relativo, è quello che spiega in più larga misura la crescita globale del numero totale di famiglie. Per le famiglie unipersonali le differenze di genere sono sostanziali. Gli uomini che vivono soli vedranno un incremento del 10%, passando da 4,2 a 4,7 milioni nel 2043. Per le donne sole si prevede una crescita ancora maggiore (+20%), che ne determina un aumento da 5,1 a 6 milioni. Le famiglie monocomponente, per via della loro composizione per età, hanno un importante impatto sociale, considerando che è soprattutto nelle età più avanzate che le persone sole aumentano in modo significativo.  Già nel 2023, tra i 9,3 milioni di persone sole quelle con 65 anni è più ammontano a 4,4 milioni, costituendo il 47,5% del totale. Negli anni a venire l’incidenza di ultrasessantacinquenni sul complesso delle famiglie unipersonali cresce in misura consistente. Nel 2043, grazie a una crescita di ben il 40%, gli ultrasessantacinquenni soli raggiungeranno i 6,2 milioni, arrivando a costituire il 57,7% dei 10,7 milioni di persone che si prevede vivranno sole.

Oltre i 75 anni di età si avranno fino a 4,1 milioni di individui soli

Fino a 64 anni di età la condizione di vita in solitudine, volontaria o meno che sia, coinvolge oggi 4,9 milioni di individui, il 60,5% dei quali uomini. Nei prossimi 10 anni questo segmento della popolazione è destinato a rimanere piuttosto stabile (4,8 milioni nel 2033). Nel decennio successivo, invece, in linea con il declino complessivo che caratterizzerà la popolazione in età adulta, anche le persone sole entro i 64 anni di età si avvieranno a subire una flessione che li porterà a 4,5 milioni entro il 2043. Anche oltre i 65 anni di età il vivere soli presenta una specifica composizione di genere, tuttavia, contrariamente a quanto si riscontra tra gli individui fino a 64 anni, qui sono le donne a prevalere numericamente, in relazione al ben riconosciuto vantaggio di sopravvivenza di cui possono usufruire. Se già nel 2023 le donne sole ultrasessantacinquenni ammontano a 3,1 milioni, nel volgere dei successivi 20 anni queste diventeranno 4,3 milioni, con una crescita del 38%. Tra gli uomini soli ultrasessantacinquenni, invece, si prevede una crescita ventennale di 600mila unità (+45%, da 1,3 milioni a circa 1,9), il che contribuirà a mantenere stabile il rapporto tra i sessi nella misura di circa sette donne e tre uomini ogni 10 individui soli di 65 anni e più. Il fatto di ritrovarsi a vivere soli, spesso non dettato da una volontaria scelta di vita, può condizionare il livello di autonomia delle persone molto anziane. Se, infatti, per individui di 65 anni di vita o poco più diviene sempre meno frequente riscontrare limitazioni alle capacità funzionali della persona, ben altra è la problematica al superamento di una soglia di età pari a 75 anni, più soggetta a bisogni specifici e fragilità legate all’invecchiamento. Il numero di ultrasettantacinquenni che potrebbe vivere in condizione di solitudine, in particolare, è destinato a salire di oltre 1,2 milioni (di cui 860mila donne) nell’arco di 20 anni, raggiungendo la cifra assoluta di 4,1 milioni di individui soli (di cui 3 milioni donne) nel 2043.

Coppie con figli in diminuzione

Per effetto della prolungata bassa fecondità, senza significativa soluzione di continuità negli ultimi decenni, e sulla base delle ipotesi considerate nello scenario mediano, si prevede una prosecuzione della diminuzione delle coppie con figli. Tale tipologia familiare, che oggi rappresenta quasi tre famiglie su 10 (29,8%), nel 2043 potrebbe scendere a meno di un quarto del totale (23,0%). Tra il 2023 e il 2043 la consistenza delle coppie con figli evolve al ribasso da 7,8 a 6,2 milioni di famiglie (-20%). La diminuzione più consistente si registrerà tra le coppie con almeno un figlio di età compresa tra 0 e 19 anni (-23%): di tale tipologia, che oggi raccoglie cinque milioni di famiglie, se ne prevede una discesa a 3,9 milioni nel 2043, con una quota rappresentativa del totale prevista in calo dal 19,2% al 14,3%. Al contrario, si prevede per le coppie senza figli un aumento da 5,3 milioni nel 2023 a 5,9 milioni dopo 20 anni (+11%). La loro quota di rappresentanza sul totale delle famiglie cresce così dal 20,3 al 21,8%.

Cresce la vita di coppia senza figli, aumentano i genitori soli

Il contrapposto percorso ipotizzato tra coppie con e senza figli, le prime in calo e le seconde in aumento, determinano una riduzione della distanza numerica tra le due tipologie di coppia, che scende da 2,5 milioni nel 2023 a 325mila nel 2043. Tale cambiamento strutturale, che preannuncia un sorpasso delle seconde sulle prime in un imminente futuro, in alcune aree del Paese potrebbe concretizzarsi tra non moltissimo tempo. Nel Nord, ad esempio, le famiglie senza figli potrebbero superare quelle con figli dal 2040 (nel Nord-est già dal 2037), mentre nel Centro il sorpasso avverrebbe nel 2043. La maggiore diffusione nel Paese dell’instabilità coniugale comporterà un contenuto aumento di famiglie composte da un genitore solo, che passeranno dal 10,4% del totale delle famiglie nel 2023 all’11,1% nel 2043. Freno alla crescita di questa tipologia familiare è sia la bassa fecondità sia la tendenza degli individui rimasti soli a riaggregarsi in altre famiglie o a formare nuove coppie. Nel 2023, i monogenitori sono 2,7 milioni: 2,2 milioni di madri e 500mila padri, che rispettivamente rappresentano l’8,5% e l’1,9% del totale delle famiglie. Dopo 20 anni, il numero complessivo sale a tre milioni. Tra questi, i padri soli, rimanendo minoritari rispetto alle madri sole, passano a 670mila (il 2,5% del totale delle famiglie) mentre le madri sole salgono a 2,3 milioni (8,6%).

Mutano i ruoli in famiglia

Gli effetti dei cambiamenti demografici si ripercuotono anche sui ruoli giocati dalle persone all’interno delle famiglie. La bassa fecondità, per esempio, esercita un effetto sia sulla presenza di genitori sia su quella dei figli, così come l’aumento della popolazione anziana si traduce in crescita di famiglie monocomponente.  Gli scenari demografici che si profilano per i prossimi 20 anni non fanno ipotizzare cambiamenti di tendenza che possano invertire queste traiettorie. Analizzando, quindi, i ruoli assunti dalle persone nel corso della vita emergono i principali cambiamenti che caratterizzeranno i futuri 20 anni. Per effetto della bassa fecondità, i figli saranno sensibilmente di meno: tra i 15 e i 19 anni, dove oggi si riscontra un picco di ragazzi di 2,8 milioni di individui, nel 2043 si scenderà a poco più di due milioni. Le persone in coppia con figli si ridurranno in particolare tra i 50 e i 54 anni (da 2,6 milioni a 1,7) mentre tra i 70 e i 74 anni aumenteranno particolarmente le persone in coppia senza figli (da 1,6 milioni a 2,1). Infine, le persone sole oggi presentano un picco di 1,1 milioni tra gli ultraottantacinquenni ma tra 20 anni si vedrà crescere tale contingente a 1,6 milioni.

Ciò che invece non sembra interessato da un profondo cambiamento è la sequenza dei passaggi nel ciclo di vita, soprattutto tra i giovani. Superata la fase della adolescenza e della giovane età, dove oggi l’89% dei 20-24enni è nella posizione di figlio (88% nel 2043), nella fascia 25-29 anni e ancora in quella 30-34 anni l’essere figlio rappresenta e continuerà a rappresentare la condizione esistenziale prevalente (rispettivamente 64% e 31% nel 2023 contro 63% e 30% nel 2043). Cosicché solo
dai 35-39 anni prevale la condizione di individuo in coppia con figli (47% nel 2023), in parte prevista in diminuzione negli anni a venire (43% nel 2043).

La frammentazione familiare interesserà tutto il Paese

Le famiglie si trasformano nel tempo a causa di comportamenti sociali e demografici specifici delle diverse zone del Paese, ponendo sovente in luce differenze territoriali in chiave odierna e futura. Già nel 2023 al Nord la quota di famiglie con almeno un nucleo è più bassa rispetto al Mezzogiorno (rispettivamente 60,6% e 64,8%). La riduzione attesa per questo tipo di famiglie è consistente, tanto che nel 2043 potrebbero costituire il 56,3% delle famiglie totali al Nord e il 59,7% nel Mezzogiorno. Per il Centro, si prevede che le famiglie con nuclei (59,5% nel 2023), scenderanno nel 2043 al 55,4% delle famiglie totali, avvicinandosi alla quota prevista per il Nord. La tipologia familiare oggetto di maggior cambiamento nei prossimi 20 anni è quella della coppia con figli. Il Mezzogiorno manterrà la proporzione più alta per questo tipo di famiglia, per quanto se ne preveda un calo di oltre sette punti percentuali (dal 33,2% nel 2023 al 25,4% nel 2043). Simili riduzioni si avranno nel Centro (dal 27,8% al 20,6%) e nel Nord (dal 28,4% al 22,5%). La maggior parte del calo interessa coppie con almeno un figlio fino a 19 anni di età, rispetto a coppie che abbiano soltanto figli di 20 anni e più. Le prime scendono in 20 anni dal 18,8% al 14,9% nel Nord e dal 18,0% al 13,3% nel Centro. Nel Mezzogiorno le coppie con almeno un figlio fino a 19 anni scendono di circa 7 punti percentuali. Per le coppie con figli “giovani” si assiste, quindi, a un processo di convergenza territoriale mentre per le coppie con figli “maturi” permane un posizionamento rilevante del Mezzogiorno, che si lega alla circostanza di tempi di uscita dalla famiglia di origine più lunghi. Per il complesso dell’Italia le persone sole cresceranno dal 35,8 al 39,9%, ma nel territorio questo valore medio nasce da realtà differenti: nel Centro si ha una presenza iniziale più elevata di persone sole, pari al 38,3%, che cresce fino al 41,8%. Nel Nord il dato di partenza è più basso (37,0%), ma le previsioni mostrano che nel 2043 oltre quattro persone su 10 vivranno da sole (40,7%). Nel Mezzogiorno, che parte da una quota iniziale più bassa di persone sole, pari al 32,3%, si prospetta uno sviluppo più rapido che condurrà tale tipologia familiare a rappresentare il 37,2% delle famiglie nel 2043.

Le coppie senza figli sono in crescita in tutte le zone del Paese, ma continueranno a essere più diffuse al Nord dove, rappresentando già oltre un quinto delle famiglie (21,8%), conseguiranno un ulteriore aumento a fine periodo (23,2%). Nel Mezzogiorno le coppie senza figli, nel 2023 pari al 18,6% delle famiglie, raggiungeranno dopo 20 anni il 20,3%.

Quella dei genitori soli è una tipologia oggi meno diffusa al Nord (9,4%) e destinata a rimanere piuttosto stabile nel tempo. Nel Centro e nel Mezzogiorno, invece, dove già oggi si riscontrano livelli superiori all’11%, se ne prevede un lieve rialzo di entità inferiore ai due punti percentuali. L’insieme delle trasformazioni familiari previste farà sì che la dimensione familiare media scenda sul piano nazionale (da 2,25 a 2,08 componenti) e territoriale. Il Nord e il Centro, che oggi presentano entrambi un valore intorno ai 2,2 componenti, tra 20 anni si fronteggeranno con dimensioni medie prossime ai 2 componenti. Il Mezzogiorno, oggi intorno a una dimensione media di 2,4 componenti, da parte sua tenderà ad avvicinarsi al resto del Paese grazie a una media prevista di 2,1 componenti.



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