Che Fbi non avrebbe mai dovuto avviare il ‘Russiagate’, ossia l’inchiesta sui presunti collegamenti tra la campagna di Donald Trump e la Russia nelle elezioni del 2016 è già stato detto. E questa è stata anche la conclusione del rapporto del procuratore speciale John Durham, nominato dall’allora ministro della giustizia dell’amministrazione Trump per far luce sulle origini dell’indagine affidata al procuratore speciale Robert Mueller, che nel 2019 pubblicò un corposo rapporto di 400 pagine contro Trump (il celebre “rapporto Mueller”) in cui scrisse che la Russia aveva interferito nella campagna elettorale statunitense in modo «radicale e sistematico» e che tra il governo russo e il comitato elettorale di Trump c’erano stati «numerosi contatti». Dall’indagine di Mueller scaturirono 34 incriminazioni contro membri dell’amministrazione Trump per vari reati, e anche se Mueller non trovò materiale sufficiente per incriminare né Trump né i suoi collaboratori del reato più grave, ossia quello di associazione per delinquere (in inglese criminal conspiracy) con la Russia per falsare il risultato delle elezioni, la reazione di Trump fu immediata e accusò l’FBI e il procuratore Mueller di avere condotto un’indagine politicamente motivata contro di lui.
Alcuni arrivarono anche a sostenere che l’FBI fosse stata manovrata dal “deep state” ossia, secondo le teorie cospirazioniste, dai poteri forti che nell’ombra stavano tramando contro Trump e il popolo americano. Così per fare luce sulla vicenda nel maggio del 2019, il procuratore generale William Barr decise di affidare a Durham un’indagine per verificare se nell’inchiesta sul Russiagate ci fossero state scorrettezze o irregolarità. E il rapporto di oltre 300 pagine di Durham fece emergere che l’Fbi aveva utilizzato “formazioni di intelligence grezze, non analizzate e non corroborate” per avviare la cosiddetta indagine “Crossfire Hurricane” su Trump e la Russia, standard quindi non appropriati per soppesare le preoccupazioni sulle presunta interferenze elettorali riguardanti la campagna di Hillary Clinton.
“Sulla base della revisione di Crossfire Hurricane e delle relative attività di intelligence, concludiamo che il Dipartimento di giustizia e l’Fbi non sono riusciti a confermare la loro importante missione di stretta fedeltà alla legge in relazione a determinati eventi e attività descritti in questo rapporto”, ha scritto Durham. Nel documento si rileva anche che “almeno da parte di alcuni membri del personale intimamente coinvolti nella vicenda” c’era “una predisposizione ad aprire un’inchiesta su Trump”. L’anno scorso Trump disse che il rapporto Durham avrebbe «rivelato un livello di corruzione mai visto in questo paese».
Come hanno notato molti media, buona parte delle rivelazioni di Durham sulle irregolarità commesse dall’FBI erano già note: quella di Durham non è la prima indagine sulla gestione del Russiagate, e molti dei problemi rilevati da Durham erano per esempio già stati mostrati nel 2019 da un rapporto di Michael Horowitz, l’ispettore generale del dipartimento di Giustizia.
Le recenti rivelazioni sull’indagine del procuratore speciale John H. Durham sulle origini dell’inchiesta sulla Russia di Robert Mueller dipingono quindi un quadro desolante, in netto contrasto con la legge vigente.
Nonostante tutto, questa settimana, l’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia americano ha rimproverato l’ex procuratore generale William Barr e uno dei suoi avvocati statunitensi, accusandoli di avere violato le regole del dipartimento diffondendo informazioni su un’indagine relativa alle irregolarità elettorali in vista delle elezioni del 2020.
“Il procuratore generale non è l’avvocato personale del presidente”, ha affermato in una dichiarazione il senatore Richard J. Durbin, presidente del Comitato giudiziario del Senato. “La decisione dell’ex procuratore generale Barr di divulgare ‘dettagli selettivi’ di un’indagine in corso del Dipartimento di Giustizia ha permesso all’ex Presidente Trump di rafforzare le sue false accuse di frode elettorale nelle elezioni presidenziali del 2020, violando la politica del Dipartimento di Giustizia volta a impedire la politicizzazione delle indagini ed erodendo la fiducia del pubblico in questa istituzione”.
Barr ha rifiutato di partecipare all’indagine dell’ispettore generale potendolo fare perché non fa più parte del dipartimento quindi non può essere obbligato, ma ha risposto con una lettera di tre pagine, nelle quali però secondo l’ispettore generale non ha affrontato questioni chiave. La questione però nonostante di venti di guerra pare si stia avviando verso una fine tombale.
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