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Alla Democratic National Convention americana arriva il “club dei presidenti” per impedire a Trump di tornare alla Casa Bianca


La seconda serata della Democratic National Convention ha dato il via alla carica del club dei presidenti, che presentandosi sul palco di Chicago hanno di fatto un endorsement speciale alla Harris ponendola sullo stesso pantheon degli ex presidenti. E così mentre l’appoggiatissima vice presidente con il suo compagno di corsa, il governatore del Minnesota Tim Walz, si è assentata da Chicago per tenere un comizio appena oltre l’autostrada a Milwaukee, per corteggiare gli elettori nel campo di battaglia del Wisconsin, ieri martedì 20 agosto, l’ex presidente Barack Obama e l’ex first lady Michelle Obama sono saliti sul palco di questa  solenne Convention nazionale democratica, per dare il loro meglio per esaltare i pregi di Kamala e i difetti di Trump. Barack Obama, da parte sua, ha ripreso il suo discorso che fece alla convention del 2004 per legare Harris alla sua eredità e ha detto: “Mi sento fiducioso, perché questa convention è sempre stata piuttosto buona con i ragazzi con nomi buffi che credono in un paese in cui tutto è possibile”, ha detto. D’altra parte chi se non lui e sua moglie potevano sostenere la rivoluzionaria candidatura della Harris, prima donna di colore a essere candidata per il partito democratico. Facile per Obama evocare in prima persona l’entusiasmo della sua corsa del 2008, e legarla a quella della Harris oggi facendo le lodi a Kamala. Obama ha definito Trump “un miliardario di 78 anni che non ha smesso di lamentarsi dei suoi problemi da quando è sceso dalla sua scala mobile dorata nove anni fa”. Anche la moglie Michelle ha anche lanciato un attacco personale, dicendo: “Per anni, Donald Trump ha fatto tutto ciò che era in suo potere per cercare di far temere la gente a noi. La sua visione limitata e ristretta del mondo lo ha fatto sentire minacciato dall’esistenza di due persone laboriose, altamente istruite e di successo che, guarda caso, erano anche nere”. Un affondo di peso che quasi per certo, dicono molti, offuscherà il tanto atteso discorso di Bill Clinton, l’ex giovane governatore dell’Arkansas , di cui tanti ricordano tutt’oggi un suo discorso del 1988, perché all’epoca annoiò così tanto i delegati democratici da fare scattare l’applauso appena lui pronunciò le parole “in chiusura…”. Ora a 36 anni di distanza, Clinton, che tra i pochi meriti ha quello di avere aiutato la rielezione di Barack Obama con un discorso alla convention del 2012 facendogli guadagnare il soprannome di “segretario delle spiegazioni”, ci riprova a rifare un discorso che lasci il segno. Con un solo obiettivo: impedire a Donald Trump di tornare alla Casa Bianca. Ma la statura di Clinton come ex presidente è cambiata nel corso degli anni, influenzata sia dalla politica sia dall’evoluzione della sua eredità.

Parte di ciò riflette il modo in cui il movimento #MeToo abbia rilanciato il dibattito sulla relazione di Clinton con Monica Lewinsky, una giovane stagista della Casa Bianca, che ha portato al suo impeachment da parte della Camera. Lewinsky nel 2018 aveva affermato che, sebbene non si trattasse di violenza sessuale, la relazione costituiva un ” grave abuso di potere “.

In questi giorni un recente sondaggio di AP-NORC ha evidenziato che gli americani sono leggermente più propensi a fidarsi di Trump che della candidata del Partito Democratico sulle questioni economiche. E sebbene la Harris potrà contare sull’aiuto di eccellenti consiglieri, in primis Bill Clinton il cui maggior pregio sarebbe quello di essere un ottimo esperto di economia capace di sapere riassumere questioni molto complesse sull’economia e spiegarle in termini ordinari comprensibili a tutti. Già. Però il partito democratico deve fare i conti con un partito, quello dei Dem, che si è spostato a sinistra delle sue posizioni politiche centriste su questioni come la criminalità e il commercio. E anche questo avrà il suo peso.



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