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Sudan, guerra e colera hanno messo in ginocchio il Paese. E ora la situazione sanitaria è al collasso


Nel terzo rapporto dell’OMS si legge in sunto la situazione sanitaria nell’emergenza regionale causata dal conflitto in Sudan e multi-paese e la risposta dell’OMS. A luglio 2024, si è intensificata la grande carestia in corso nel campo di Zamzam vicino alla città di El Fasher. Molte altre aree in tutto il Sudan rimangono a rischio carestia finché il conflitto continua e l’accesso umanitario resta limitato. Almeno 12 dei 18 stati del Paese stanno vivendo tre o più focolai contemporaneamente. A seguito di un rapporto del 22 luglio 2024, è in corso un’epidemia di colera dichiarata e notificata ufficialmente a Kassala e in diversi altri stati. La stagione delle piogge porta forti piogge e inondazioni in diversi stati del Sudan, esacerbando il rischio per la salute pubblica. Nuovi intensi combattimenti, ulteriori spostamenti all’interno del Sudan e nei paesi limitrofi potrebbero avere un impatto ulteriormente negativo sull’accesso all’assistenza sanitaria. I sistemi sanitari dei paesi limitrofi continuano a essere messi a dura prova dall’afflusso di rifugiati dal Sudan, aggravato da scarse condizioni idriche, igienico-sanitarie e igieniche e da un elevato carico di malattie infettive e altre condizioni di salute. Il conflitto armato in corso in Sudan tra le Fas e le Fsr è iniziato il 15 aprile 2023, dopo mesi di tensione tra i due gruppi a causa della possibile riforma delle forze di sicurezza, proposta tra i punti oggetto di negoziati per un nuovo governo di transizione. Ora il Sudan, con oltre 25 milioni di persone che soffrono la fame, oltre 10 milioni sono sfollate e circa 750 mila sono quelle a rischio carestia,  sta attraversando una delle peggiori crisi umanitarie della storia recente e la più grave crisi di sfollamento al mondo. A Port Sudan, le condizioni sanitarie e di vita degli sfollati di guerra sono precarie: la città si è trovata impreparata a ricevere migliaia di persone in fuga, trasformandosi presto in un enorme campo profughi. “Visitiamo tra gli 80 e i 100 bambini ogni giorno, con le patologie più diverse” racconta la Presidente di EMERGENCY Rossella Miccio dal Centro pediatrico che gestiamo a Port Sudan dal 2011. “In questi mesi abbiamo iniziato ad assistere anche le future madri e a offrire cure pre e post-natali”.

Shagan ha poco più di una settimana di vita. “Suo fratello gemello è morto cinque giorni dopo il parto”, ci ha raccontato sua madre. Quando è arrivata nel nostro Centro pediatrico a Khartoum, la neonata era molto debole. Aveva la febbre altissima, era in stato di sonno profondo, non riusciva più a prendere il latte materno. Gli esami a cui l’abbiamo sottoposta hanno rivelato segni di infezione, dovuta a una sepsi neonatale. “Una patologia che riscontriamo spesso e che tante volte è causata dalle condizioni igieniche scarse dei parti fatti in casa, gestiti senza alcuna assistenza ostetrica” racconta la nostra infermiera Caterina. E in un contesto compromesso da più di un anno di guerra, partorire in casa è quasi sempre l’unica scelta possibile. “Vediamo anche tante giovani madri che conducono gravidanze in stato di forte malnutrizione, un’altra conseguenza del conflitto sulla salute materno-infantile”. In Sudan, 14 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria: il disastro sanitario, sociale ed economico prodotto dalla guerra ha un impatto diretto sulle probabilità di sopravvivenza, dopo il parto e nei primi anni di vita. Anche la sanità locale è al collasso: l’80% degli ospedali del Paese non è più funzionante. E con l’inizio della stagione delle piogge la situazione sanitaria potrebbe ulteriormente aggravarsi.



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