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Cultura e creatività sono la forza del made in Italy che fanno volare l’export


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Photo by Antonius Ferret on Pexels.com

Cultura e bellezza in Italia sono tratti identitari radicati nella società e nell’economia. Da qui il titolo del rapporto Io sono cultura, e grazie alla loro forte relazione con la manifattura hanno dato vita ad una delle più forti identità produttive del mondo, il made in Italy. Oggi le industrie culturali e creative sono tra i settori più strategici per facilitare la ripresa economica e sociale italiana. Non solo perché i numeri dell’ultimo decennio dimostrano che parliamo di una fonte significativa di posti di lavoro e ricchezza ma anche perché sono un motore di innovazione per l’intera economia e agiscono come un attivatore della crescita di altri settori, dal turismo alla manifattura creative-driven ossia quella manifattura che ha saputo incorporare professionisti e competenze culturali e creative nei processi produttivi spesso orientati alla sostenibilità, traducendo la bellezza in oggetti e portando il made in Italy nel mondo. Bellezza e cultura, quindi, sono parte del DNA italiano e sono alla base delle ricette made in Italy per la fuoriuscita dalle crisi. Io sono cultura annualmente quantifica il peso della cultura e della creatività nell’economia nazionale. I numeri dimostrano che la cultura è uno dei motori della nostra economia; lo studio propone numeri e storie ed è realizzato grazie al contributo di molte personalità di punta nei diversi settori.

La cultura per l’Italia è anche un formidabile attivatore di economia. Una filiera, in cui operano soggetti privati, pubblici e del terzo settore che, nel 2023, cresce sia dal punto di vista del valore aggiunto (104,3 miliardi di euro, in aumento del +5,5% rispetto all’anno precedente e del +12,7% rispetto al 2019) che da quello dell’occupazione (1.550.068 lavoratori con una variazione del +3,2% rispetto al 2022, a fronte di un +1,8% registrato a livello nazionale).

Una filiera complessa e composita in cui si trovano ad operare quasi 284 mila imprese (in crescita del +3,1% rispetto al 2022) e più di 33 mila organizzazioni non-profit che si occupano di cultura e creatività (il 9,3% del totale delle organizzazioni attive nel settore non-profit), le quali impiegano più di 22 mila e settecento tra dipendenti, interinali ed esterni (il 2,4% del totale delle risorse umane retribuite operanti nell’intero universo del non-profit).

Ma il “peso” della cultura e della creatività nel nostro Paese è molto maggiore rispetto al valore aggiunto che deriva dalle sole attività che ne fanno parte. Cultura e creatività, in maniera diretta o indiretta, generano complessivamente un valore aggiunto per circa 296,9 miliardi di euro. Il rapporto, arrivato alla quattordicesima edizione, è realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere, Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne, Deloitte con la collaborazione dell’Istituto per il Credito Sportivo e Culturale, Fondazione Fitzcarraldo, Fornasetti e con il patrocinio del Ministero della Cultura. È stato presentato oggi da Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola; Andrea Prete, presidente di Unioncamere; Alessandro Rinaldi, vice-direttore Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne; Valeria Brambilla, Socio ed Amministratore Delegato di Deloitte & Touche SpA; Beniamino Quintieri, presidente Istituto per il Credito Sportivo e Culturale. “La forza della nostra economia e del made in Italy – dichiara Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola – deve molto, in tutti i campi, alla cultura e alla bellezza. Più che in altri Paesi. Cultura e creatività oltre ad arricchire la nostra identità e alimentare la domanda di Italia nel mondo, possono aiutarci ad affrontare insieme, senza paura, le difficili sfide che abbiamo davanti. A partire dalla crisi climatica. L’Italia, forte dei 296,9 miliardi di valore aggiunto legati alla cultura, può essere protagonista del nuovo ‘Bauhaus’, fortemente voluto dalla Commissione Europea che nasce per rinsaldare i legami tra il mondo della cultura e della creatività e i mondi della produzione, della scienza e della tecnologia orientandoli alla transizione ecologica indicata dal Next Generation EU. Se l’Italia produce valore e lavoro puntando sulla cultura e sulla bellezza, favorisce un’economia più a misura d’uomo e, anche per questo, più competitiva e più capace di futuro come sostiene il Manifesto di Assisi. Anche da questo deriva la forza del nostro export”. “Come Sistema camerale guardiamo da tempo con grande attenzione alla imprenditoria culturale e creativa e ai suoi collegamenti con la Pubblica Amministrazione e il Terzo Settore. Il sistema produttivo culturale e creativo, con i suoi effetti moltiplicativi arriva a rappresentare in termini di reddito prodotto una quota importante del totale dell’economia”. Lo ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, che ha aggiunto “queste attività, distribuite su più settori anche molto diversi tra loro, hanno trovato un riconoscimento normativo nella Legge 206 del 27 dicembre 2023 (legge sul Made in Italy) e al pari del resto dell’economia stanno affrontando grandi trasformazioni, tra le quali spiccano quelle connesse al digitale con importanti prospettive per l’Intelligenza Artificiale generativa e le sue applicazioni sempre più verticali”. “Dal report emerge con chiarezza lo straordinario contributo della cultura italiana alla nostra economia: nel 2023 il valore aggiunto ha superato i 100 miliardi e si sono registrati oltre 1 milione e mezzo di addetti. Ma oltre agli impatti strettamente economici ed occupazionali, esistono anche gli impatti della cultura relativi ad aspetti quali competenze, diversità ed inclusione, che possiamo oggi misurare grazie a nuovi modelli di misurazione e rendicontazione della cultura”, dichiara Valeria Brambilla, AD di Deloitte & Touche SpA. “Grazie alla misurazione di quanto la cultura contribuisca allo sviluppo sostenibile, come suggerito dall’UNESCO con riferimento all’Agenda 2030 dell’ONU, possiamo meglio governare e valorizzare i molteplici impatti generati dalla cultura – ben più ampi di quelli esclusivamente economici, che per altro devono essere sistematicamente misurati anche per una migliore allocazione delle risorse private, pubbliche e del Terzo Settore. Inoltre, si tratta di impatti che contribuiscono anche ad altri settori dell’economia come il turismo e l’hospitality”, sottolinea Brambilla. “La filiera culturale e creativa ha raggiunto in Italia una dimensione industriale rilevante, come testimoniano i dati del Rapporto presentato oggi, e deve poter rappresentare un asse portante delle politiche di rilancio economico e sociale del nostro Paese – spiega il presidente dell’Istituto per il Credito Sportivo e Culturale, Beniamino Quintieri –. Fornire un supporto finanziario adeguato è prerequisito essenziale per consentire al settore di affrontare le sfide poste dalla digitalizzazione e attivare un cambio di passo nel ritmo degli investimenti, pubblici e privati. Attualmente i Comuni destinano solo il 28% della spesa in conto capitale alle attività culturali. Come banca pubblica per lo sviluppo sostenibile del Paese attraverso lo Sport e la Cultura, è nostro compito sostenere gli operatori del mercato con una finanza volta alla promozione di progetti ad alto impatto per i territori, rivolgendo un’attenzione particolare al Mezzogiorno, custode di un enorme patrimonio culturale da valorizzare.”



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