I ribelli siriani meglio noti come combattenti di Ebel hanno affermato di aver conquistato la capitale siriana Damasco domenica mattina, mentre le forze governative fedeli al presidente del paese, Bashar al-Assad, sono state sconfitte nel giro di pochi giorni. Le rivendicazioni dei ribelli aprirebbero un nuovo capitolo nella guerra civile che dura da 13 anni e che ha devastato questa antica terra. “Dichiariamo la città di Damasco libera dal tiranno Bashar al-Assad”, ha detto Hassan Abdul-Ghani, comandante senior del gruppo militante Hayat Tahrir al-Sham , noto come HTS, in un post su WhatsApp. “Agli sfollati di tutto il mondo, vi aspetta la Siria libera”. Secondo le ultime notizie di NBC news, Assad sarebbe in fuga dalla capitale. Diversi resoconti dei media riferiscono che ha lasciato Damasco. E mentre si diffonde la notizia che Assad avrebbe lasciato la capitale, il primo ministro siriano, Ghazi al-Jalali, ha dichiarato di essere a casa sua e di non avere intenzione di andarsene “se non in modo pacifico, che garantisca il continuo funzionamento delle istituzioni pubbliche e delle strutture statali, promuovendo la sicurezza e la rassicurazione per i nostri concittadini”, affermando che il governo è pronto a collaborare con “qualsiasi leadership scelta dal popolo siriano”. Il Comando generale HTS ha dichiarato di aver liberato anche le persone detenute nella prigione di Sednaya. Il governo siriano ha trattenuto migliaia di persone nella prigione militare alla periferia di Damasco, secondo Reuters . “Annunciamo al popolo siriano la notizia della liberazione dei nostri prigionieri e della rottura delle loro catene, proclamando la fine dell’era di oppressione nella prigione di Sednaya.”
Offensiva del gruppo militante
Damasco è caduta poco dopo che venerdì i ribelli avevano assediato la città siriana di Homs con un rapido assalto alle forze governative che ha lasciato tre delle cinque città più grandi del paese nelle loro mani e niente che potesse impedirgli di marciare sulla capitale siriana. I ribelli di HTS hanno affermato sabato ET di aver catturato la città , un giorno dopo aver affermato di aver preso anche la città di Daraa. Gli Stati Uniti, che hanno circa 900 soldati nella Siria settentrionale, monitorano attentamente gli sviluppi nel Paese. In meno di due settimane, i ribelli HTS sono riusciti a catturare anche la città di Aleppo, nel nord, e la città centrale di Hama, dove le forze governative sono state costrette a ritirarsi giovedì. L’attacco dell’HTS ad Aleppo è stato il primo assalto dell’opposizione alla città dal 2016, quando una brutale campagna aerea degli aerei da guerra russi ha aiutato Assad a riprendere il controllo di Aleppo. Al potere dal 2000, quando raccolse il testimone dal padre Hafiz, Bashar al-Assad è rimasto in questi anni aggrappato con le unghie alla presidenza di un Paese dilaniato da un conflitto senza soluzione iniziato a marzo del 2011, sulla scia della cosiddetta ‘Primavera Araba’, e sfociato nel tempo in una guerra per procura sanguinosa e complessa che ha visto coinvolti ribelli, forze jihadiste e altri attori, anche statuali. La sua fuga che pare già avvenuta è uno scenario che fino a poche settimane fa nessun analista aveva previsto. Ma evidentemente la determinazione dei jihadisti che hanno avanzato verso Damasco, la capitale della Siria, passando da Homs, la terza città del paese, senza alcuna remora ha fatto scrivere una nuova pagina della storia di questo Paese. Assad è finora ‘sopravvissuto’ alle sofferenze del Paese arabo con cinica determinazione. Non ha mai gettato la spugna e forte dei sostegni cruciali di Iran e Russia ha denunciato il “terrorismo”, anche di chiunque si opponesse a Damasco, dove stando alla presidenza siriana ancora si troverebbe. Ma la sfida lanciata dalle fazioni armate guidate da Hayat Tahrir al-Sham, arrivate ormai alle porte della capitale, e la situazione di difficoltà in cui versano Mosca e Teheran sembrano scrivere la parola fine alla sua carriera da dittatore. Almeno per il momento.
Bashar al-Assad e il suo regime
Cinquantanove anni compiuti lo scorso 11 settembre, laureato in oftalmologia a Londra, il leader siriano molto contestato all’estero era entrato nella linea di successione al potere dopo la morte del fratello Basil, il delfino designato di Hafiz, vittima di un incidente stradale nel 1994. Dopo l’ascesa, aveva avviato un percorso di riforme che all’epoca aveva fatto pensare a un’iniziale apertura di Damasco verso l’Occidente. Un quadro ben diverso dalla repressione subito scattata nel 2011 in risposta a proteste pacifiche. Il regime di Assad è stato accusato di torture e di massacri nei confronti di dissidenti e oppositori e di stragi con armi chimiche, ma ha sempre resistito alle sanzioni come ha resistito – è bene specificarlo solo grazie al sostegno dei militari, di Mosca e Teheran – a chi per anni gli ha chiesto un passo indietro. Nel frattempo la Siria, dove nel 2019 è stata annunciata la “sconfitta” del sedicente Stato islamico, ha faticosamente cercato un effimero ritorno alla stabilità. Rieletto presidente nel 2021 con oltre il 95% dei consensi in quelle che erano state le seconde elezioni dall’inizio del conflitto dopo quelle del giugno 2014, Assad aveva sfidato le accuse dei tanti che hanno definito “una farsa” il voto. A maggio dello scorso anno aveva assaporato il gusto della rivincita, rientrando a pieno titolo nella Lega Araba 12 anni dopo essere stato cacciato a causa della violenta repressione delle proteste. Il leader siriano aveva partecipato al summit di Gedda, venendo accolto con abbracci dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Un decennio prima, i sauditi erano stati tra i finanziatori delle milizie che combattevano per rovesciarlo. Di recente, poi, Assad aveva ricevuto anche un invito ad avviare un processo per normalizzare le relazioni dal presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Lo stesso ‘sultano’, di certo non ostile alle fazioni armate che stanno prendendo il controllo della Siria, si sta rivelando la figura chiave del suo tramonto politico. Le guerre a Gaza e poi in Libano, tuttavia, avevano riportato il conflitto anche in Siria seppur indirettamente, con Israele che in questi mesi ha condotto sul Paese a intervalli regolari raid e blitz contro obiettivi di Hezbollah e legati ai Guardiani della Rivoluzione iraniani. Il crollo del suo regime di carta, dopo l’uccisione del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, e del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, sembrano assestare un nuovo durissimo colpo al cosiddetto ‘Asse della Resistenza’ messo in piedi da Teheran in chiave anti-israeliana.
Asma, la first lady
In questi anni, al fianco di Bashar, c’è sempre stata Asma, la first lady nata a Londra da genitori siriani. Cresciuta nella City, ha sposato Assad nel 2000 e dal loro matrimonio sono nati tre figli. In passato lodata per il suo stile e le sue idee, osannata da Vogue come ‘La rosa del deserto’ e da Paris Match come “un raggio di luce in un Paese di zone d’ombra”, è finita nella bufera quando ha deciso di sostenere il marito nella repressione delle proteste. Quarantanove anni compiuti ad agosto, nel 2019 aveva annunciato di aver “vinto il cancro” dopo una diagnosi di tumore al seno. Lo scorso maggio la presidenza siriana aveva diffuso una nuova drammatica notizia, annunciando che Asma era affetta da leucemia mieloide acuta. Ora si rincorrono voci che anche lei sia già fuggita.
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