Secondo una recente ricerca pubblicato da Istat, in Italia il calo della natalità e quello della fecondità hanno avuto grandi ripercussioni sul peso del target dei giovani sulla popolazione totale. Al 1° gennaio 2024 nelle 14 città metropolitane risultavano residenti il 22,6% della popolazione totale, dato lievemente superiore alla media nazionale (22,1%) ma con una significativa perdita rispetto al 1993 (-10 punti percentuali) quando si aveva un giovane ogni 3 persone. La distribuzione sul territorio evidenzia una maggiore incidenza di questo segmento di popolazione nelle città metropolitane del Sud, in particolare Napoli, Catania e Palermo; anche se il peso si è assottigliato fortemente nell’arco di un trentennio. Lo sguardo all’interno dei contesti urbani mostra una struttura più giovane della popolazione nelle prime due cinture urbane in cui la componente di giovani fino a 24 anni incide rispettivamente con il 23,1% e il 24%. I giovani di 0-24 anni sono diminuiti di oltre 1,5 milioni rispetto al 1993 (-24,5%) con molta variabilità sul territorio. Nelle città metropolitane del Sud e delle Isole si evidenzia una forte riduzione della componente giovanile oltre la media nazionale (-23,9%) che scende fino a -45,3% nella città metropolitana di Cagliari. Nel
Centro-nord la riduzione è più attenuata, soltanto la città metropolitana di Bologna registra un incremento della popolazione giovanile (+13,2%) totalmente determinato dalla significativa crescita dei bambini e ragazzi fino a 14 anni (+42,4%), mitigato dalla parallela riduzione delle persone d 15-24anni. La contrazione della popolazione 0-24 anni, nell’arco di un trentennio, interessa in maggior misura i comuni capoluogo (-27,7%) che arrivano a perdere ancora più giovani nella classe di età 15-24 anni (-39%); si distanzia significativamente il comune di Cagliari (-56,2%) e a seguire Bari (-42,8%). Le prime due cinture urbane sono meno compromesse dalla perdita della componente giovanile, soprattutto le seconde (-19,1%). Il calo del numero dei giovani residenti con età fino a 24 anni nell’ultimo trentennio è frutto, come noto, di una dinamica naturale negativa della popolazione autoctona compensata parzialmente dai flussi migratori dall’estero che hanno contribuito a rendere più giovane la struttura della popolazione, ma nell’ultimo decennio l’apporto delle migrazioni non è sufficiente ad attenuare in maniera consistente il calo della natalità. Nelle città metropolitane il confronto di genere vede una prevalenza della componente femminile, il rapporto di mascolinità è 94,2 uomini ogni 100 donne (in Italia è 95,7) e questo peso, come noto, cresce con l’avanzare dell’età a causa della maggiore longevità delle donne. Dalla nascita e fino a 14 anni prevale però la componente maschile (106,1) della popolazione, che continua a crescere nei ragazzi e giovani da 15 a 24 anni (108 maschi ogni 100 femmine). Tra le città metropolitane, il rapporto di mascolinità più alto dei bambini e ragazzi fino a 14 anni si registra a Cagliari (108) e quello dei giovani di 15-24 anni a Milano (110,1). L’indice di dipendenza giovanile mostra nei territori metropolitani che, ogni 100 persone in età attiva tra 15 e 64 anni, ci sono 19,5 bambini e ragazzi fino a 14 anni che per motivi anagrafici non sono autonomi (in Italia 19,2%). Le città metropolitane con il maggiore carico sociale di questo segmento giovanile della popolazione sono Catania (21,7%), Palermo e Napoli che hanno una struttura d’età più giovane rispetto a quelle del Centro-nord; quello più basso a Cagliari (15,7%) e Genova (17,3%) con la struttura più anziana. Il carico dei giovanissimi è diminuito rispetto al 1993 (-2,5 punti percentuali), a causa della riduzione della loro consistenza numerica, soprattutto nei territori metropolitani del Sud comprese le Isole; il calo è più significativo nella città metropolitana di Reggio Calabria (-9,9 punti percentuali) e Napoli (-9,7).
Posti nei servizi educativi per la prima infanzia: nel Mezzogiorno spicca Cagliari
I servizi educativi per la prima infanzia hanno un ruolo essenziale nell’educazione prescolare, contribuendo al benessere e all’inclusione dei bambini e garantendo pari opportunità per lo sviluppo delle loro capacità, soprattutto nei confronti di quelli che vivono in famiglie e contesti particolarmente svantaggiati. L’importanza di ampliare e rendere più accessibile l’offerta educativa della prima infanzia è infatti riconosciuta sia a livello nazionale sia europeo, non solo come supporto alle famiglie per facilitare la conciliazione della cura dei figli con la vita lavorativa e sostenere l’occupazione femminile, ma anche come mezzo per contrastare la povertà educativa e ridurre i divari di sviluppo sociale e cognitivo dei bambini fin dai primi anni di vita. In Italia, nell’anno educativo 2022/2023, si contano 14mila servizi educativi attivi per la prima infanzia (nidi, sezioni primavera e servizi integrativi per la prima infanzia) offerti dai Comuni, singoli o in associazione[2] e da altri enti pubblici e privati. Nello stesso anno, nelle città metropolitane i servizi per la prima infanzia hanno toccato quota 4mila e 800, circa un terzo di quelli offerti a livello nazionale, di cui il 67,7% a titolarità privata. Nel complesso dei territori metropolitani il 61,6% dei comuni ha almeno un servizio per la prima infanzia[3], contro il 52% del totale dei comuni italiani. L’obiettivo di copertura del 75% dei comuni, stabilito a livello nazionale dal Decreto legislativo 65/2017 è stato raggiunto tuttavia soltanto dalla metà delle città metropolitane, con valori superiori al 90% a Firenze, Milano, Bologna e Bari. Nella città metropolitana di Reggio Calabria invece i comuni con almeno un servizio sono poco più di un terzo, a Palermo non superano il 40%. Il confronto fra i poli urbani mostra però un andamento diversificato. Valori significativamente superiori alla media si rilevano nei comuni di Roma (71,5%) e Genova (67,2%), seguiti da Palermo (56,3%). Nelle città metropolitane di Messina e Reggio Calabria invece più del 50% dei servizi è garantito nell’anello più esterno dell’area urbana. Analizzando i posti autorizzati nei servizi per la prima infanzia, nell’anno educativo 2022/2023, in Italia sono disponibili 366mila posti, di cui circa 140mila nelle città metropolitane. In questi territori l’offerta, misurata in base ai posti autorizzati al funzionamento, copre il 30,7% dei bambini residenti con meno di 3 anni, pressoché equamente distribuita fra settore pubblico e privato. La copertura dei potenziali beneficiari presenta una dinamica crescente (+5 punti percentuali) rispetto all’anno educativo 2018/2019, determinata da un lato dall’incremento dei posti (+5,7%) e dall’altro dalla progressiva e significativa riduzione dei potenziali beneficiari (-11,4%; Figura 5). Il valore, anche se in crescita, rimane al di sotto della soglia del 33% dei posti autorizzati rispetto ai bambini residenti, parametro fissato a livello nazionale come Livello Essenziale delle Prestazioni (LEP) nonché come obiettivo europeo che si sarebbe dovuto garantire entro il 2010, come previsto dal Consiglio Europeo di Barcellona nel 2002. Se si considera il nuovo obiettivo europeo al 2030, pari al 45% di bambini inseriti nei servizi educativi, la differenza con il target europeo raggiunge 14,3 punti percentuali. Nel territorio si confermano ampi divari nella distribuzione dell’offerta educativa. Tutte le città metropolitane del Centro e del Nord superano il target del 33%, ad eccezione di Venezia (30,1%), con valori massimi a Bologna (49,4%) e Firenze (45,8%). Restano ancora molto al di sotto del parametro i territori metropolitani del Mezzogiorno, soprattutto Napoli (12,3%) e Catania (11,4%), sebbene in leggero miglioramento rispetto all’anno educativo 2018/2019 (circa +3 punti percentuali). Fa eccezione la città metropolitana di Cagliari che nell’anno educativo 2022/2023 si colloca al quinto posto della classifica (40,5%), grazie a livelli più elevati garantiti dal settore privato (29,8%). La prevalenza dei posti nel settore privato è significativa anche in altre città del Mezzogiorno, come Bari e Reggio Calabria. Nella città metropolitana di Bologna, invece, la copertura dei posti nei servizi a titolarità pubblica è circa tre volte quella garantita da enti e associazioni private.
Servizi educativi offerti dai Comuni: città metropolitane di Reggio Calabria e Catania con i valori più critici
Una quota rilevante dell’offerta dei servizi educativi è garantita dai Comuni con l’obiettivo di rispondere alla domanda espressa dai propri utenti e di raggiungere gli standard e i parametri stabiliti a livello nazionale ed europeo dalle politiche sull’educazione e la cura per la prima infanzia. Circoscrivendo l’analisi ai servizi educativi offerti dai Comuni per la prima infanzia, nell’anno educativo 2022/2023, nei territori metropolitani gli iscritti nei servizi comunali o finanziati dai Comuni sono 78mila e 500[4], quasi 1.400 utenti in più dell’anno educativo 2018/2019, dopo una battuta d’arresto avvenuta negli anni della pandemia da Covid-19. Nello stesso anno, gli utenti presi in carico dai servizi educativi dei Comuni rappresentano il 17,2% dei bambini residenti fino a 2 anni, quota di poco superiore a quella italiana (16,8%) e in aumento di 2,2 punti percentuali rispetto all’anno educativo 2018/2019. Nonostante la crescita degli utenti (+1,8%), il trend positivo è in gran parte influenzato dalla progressiva diminuzione dei potenziali beneficiari determinata dal calo delle nascite e coinvolge tutte le città metropolitane, esclusa Genova che registra una diminuzione dell’1,5%. Questo decremento è attribuibile a una flessione di -2,6 punti percentuali nel comune capoluogo, causata anche da una riduzione degli iscritti. La geografia della domanda soddisfatta dai Comuni in rapporto al potenziale bacino di utenza è molto simile a quella della dotazione dell’offerta. Le quote di bambini presi in carico sono più elevate nelle città metropolitane del Centro e del Nord, tranne Venezia, con valori massimi a Bologna (38,2%). Nelle città metropolitane di Reggio Calabria, Napoli e Catania gli utenti non raggiungono il 5% dei bambini residenti sotto i 3 anni, mentre Cagliari si distingue con il 26,5% di utenti e il maggiore incremento rispetto all’anno educativo 2018/2019 (+14,3 punti percentuali). All’interno delle città metropolitane i comuni capoluogo, principali centri di offerta dei servizi educativi, presentano i valori più elevati, con poco meno di un quarto dei bambini residenti fino a 2 anni iscritti nei servizi comunali o finanziati dai Comuni. Le differenze territoriali a vantaggio dei comuni capoluogo sono più marcate nelle città metropolitane di Venezia e Roma mentre nelle tre città metropolitane siciliane si riscontra lo svantaggio maggiore. La spesa dei Comuni è 1.442 euro per bambino residente di 0-2 anni, superiore alla media nazionale di 326 euro e in crescita del 24,5% rispetto al 2018. L’analisi della spesa pro capite conferma rilevanti disparità territoriali nelle risorse pubbliche di cui beneficiano le famiglie a sostegno dell’educazione e della cura della prima infanzia, analoghe a quelle osservate per la dotazione e la fruizione dei servizi educativi. In tutte le città metropolitane del Nord e del Centro, tranne a Venezia e Torino, la spesa pro capite dei Comuni è molto al di sopra del valore medio delle città metropolitane e raggiunge il suo massimo a Bologna (3.455 euro annui per bambino). Nelle città metropolitane del Mezzogiorno invece l’importo non supera i 600 euro, esclusa la città metropolitana di Cagliari (818 euro). La spesa dei Comuni copre di contro una quota maggiore di quella totale in quasi tutte le città metropolitane del Mezzogiorno, con valori massimi a Reggio Calabria (96,7%) e minimi a Milano (74,5%) e Cagliari (77,5%). Il divario all’interno dei territori metropolitani è molto marcato: la spesa pro capite diminuisce da poco meno di 2.500 euro dei comuni capoluogo a quasi 600 euro per bambino nei comuni di seconda cintura urbana. Bologna spicca fra i comuni capoluogo con circa 4.600 euro di spesa per bambino, seguita da Roma e Firenze. Le differenze a vantaggio del capoluogo sono più rilevanti in tutte le città metropolitane del Centro e del Nord, soprattutto a Venezia e Roma. I comuni di Messina e Catania hanno invece una spesa pro capite inferiore alla media dell’area, coerentemente con quanto emerso per la fruizione dei servizi.
Offerta scolastica: 86% di scuole fanno parte del I ciclo di istruzione
Favorire l’accessibilità e la partecipazione al sistema scolastico con un’offerta variegata di scuole di ogni ordine e grado è una condizione primaria per garantire l’istruzione a tutti e incentivare il completamento del percorso di studi. Le scuole nelle 14 città metropolitane nell’anno scolastico 2021/2022 sono 16mila e 900 e contano una prevalenza delle scuole dell’infanzia (42,3%), seguono le scuole primarie (quasi il 30%) e, con circa il 14%, le scuole secondarie sia di primo grado sia di secondo grado. La distribuzione sul territorio evidenzia che lo sbilanciamento a favore dell’educazione pre-primaria è maggiore nelle città metropolitane di Bari (il 48,5%) e Bologna (il 46,6%) e all’interno dei territori metropolitani, nei comuni della seconda e prima cintura urbana (poco più del 44%). La consistenza dell’offerta scolastica si è mantenuta pressoché stabile nell’arco di un triennio, con una lieve flessione delle scuole dell’infanzia rispetto al 2018/2019, anno precedente la pandemia da Covid-19. L’offerta di servizi scolastici nel territorio è maggiore nei comuni capoluogo in tutti i cicli scolastici e diminuisce nei comuni lontani dal comune capoluogo, soprattutto nella prima e seconda cintura urbana.Osservando i due cicli di istruzione, quasi il 40% delle scuole dell’infanzia delle città metropolitane si trova nel comune capoluogo, raggiungendo l’apice a Genova in cui quasi i due terzi sono collocati nel polo urbano. Oltre un terzo delle scuole primarie e secondarie di primo grado è offerto dal comune capoluogo, con i valori massimi nelle città metropolitane di Roma e Genova (rispettivamente 61,3% e 59,3% per le primarie e 60,8% e 53,6% per le scuole medie). Anche nei comuni dell’anello metropolitano più esterno ricade una quota significativa delle scuole del primo ciclo di istruzione (intorno al 32% per ciascun ordine).La distribuzione sul territorio delle scuole del secondo ciclo di istruzione mostra come quasi la metà sono localizzate nei capoluoghi, un quarto si trova nelle prime due cinture urbane e le restanti nel terzo anello. Anche in questo caso il comune di Genova ha l’incidenza più elevata delle scuole superiori rispetto al territorio metropolitano (70%), seguita da Roma e Cagliari (rispettivamente 65,1% e 63,2%). La presenza non capillare sul territorio delle scuole secondarie di secondo grado costituisce un elemento di fragilità nel percorso educativo dei giovani che sono costretti a spostamenti fuori dal comune di residenza, non sempre agevoli e brevi, per poter usufruire dell’istruzione scolastica superiore.
Iscrizioni nel I ciclo di istruzione in calo e tempo pieno per quasi 4 bambini su 5 nelle scuole dell’infanzia
L’istruzione svolge un ruolo fondamentale per delineare il futuro di un Paese e per lo sviluppo personale, civico e professionale dei cittadini. A tal fine occorre garantire un’istruzione di qualità e inclusiva per tutti, riducendo le disuguaglianze sociali, economiche e culturali. Nell’anno scolastico 2021/2022 la popolazione scolastica delle 14 città metropolitane è costituita da oltre tre milioni di studenti, oltre un terzo del totale italiano (36,8%) ma in calo del 3,7% rispetto a tre anni prima. In particolare, i bambini iscritti al primo ciclo di istruzione (dall’infanzia alla secondaria di primo grado) rappresentano i due terzi della popolazione scolastica (poco più di due milioni) e in linea con il dato nazionale, tra questi prevalgono i bambini che frequentano la scuola primaria (quasi 935mila), seguiti dagli studenti delle scuole secondarie di primo grado (620mila) e infine i bambini che partecipano al primo gradino del percorso di istruzione (481mila). La distribuzione delle quote di iscritti al primo ciclo formativo (dall’infanzia alla scuola secondaria di primo grado) non evidenzia significative divergenze tra le città metropolitane ma all’interno delle articolazioni territoriali. Tra i comuni capoluogo, si stacca il comune di Cagliari con i più bassi tassi di iscrizione. Le prime cinture che accolgono una maggiore quota di iscrizioni del primo ciclo scolastico sono quelle di Messina, Palermo e Genova, a cui si aggiungono le seconde cinture di Cagliari, Messina e Genova. Nelle città metropolitane nel 2021/2022 il secondo ciclo di istruzione accoglie un terzo degli iscritti nei territori metropolitani (poco più di un milione). Contrariamente al primo ciclo emerge Cagliari con l’incidenza più elevata di studenti (38,7% del totale), oltre 5 punti percentuali in più rispetto alla media metropolitana, influenzata dalla struttura per età della popolazione ma anche da una maggiore offerta scolastica rispetto ai comuni vicini ma non appartenenti alla città metropolitana.
I comuni capoluogo hanno un maggiore bacino di iscritti nelle scuole superiori (38,3%) rispetto alle cinture urbane, per la maggiore offerta formativa legata alla presenza degli istituti scolastici di secondo grado. Il comune di Cagliari rappresenta, più di altri capoluoghi metropolitani, il polo urbano attrattivo per gli altri comuni delle cinture urbane, raggiungendo la quota più elevata di iscritti (55,3%). La mobilità degli studenti delle superiori verso i comuni capoluogo riduce, di conseguenza, il bacino totale di iscrizioni nelle cinture urbane, in particolare la prima e la seconda, influenzando al rialzo la quota di iscritti negli ordini scolastici inferiori che sono più elevati dei poli urbani e della media metropolitana.
Le prime cinture con la quota più alta sono Reggio Calabria e Torino (37,1% e 30,9%); le seconde cinture di Venezia e Bari (40,8%, 36,9%). Rispetto all’indirizzo scolastico i licei si confermano la prima scelta degli studenti, oltre uno su due (55,6 %), seguiti dagli istituti tecnici (28,8) e i professionali scelti dal 15,6% degli iscritti. Le iscrizioni ai licei sono aumentate nell’ultimo triennio (+1,6 punti percentuali) a discapito degli istituti professionali; rimangono stabili gli iscritti in quelli tecnici. La flessione delle iscrizioni ha riguardato quasi tutti gli ordini scolastici ma il calo più consistente interessa le scuole dell’infanzia (-9,1%) e in maniera decrescente negli altri ordini (-6,9% nella primaria e -2,8% nella secondaria di primo grado). La scuola secondaria di secondo grado è l’unica in controtendenza con un aumento degli iscritti (+2,0%) rispetto all’anno scolastico 2018/2019 e maggiore del valore nazionale (+1,4%), ma con un andamento differenziato tra i domini territoriali. La riduzione delle iscrizioni procede in parallelo con il calo demografico delle corrispondenti classi d’età. All’interno dei contesti urbani si osserva che i comuni capoluogo e quelli della prima cintura sono in maggiore sofferenza per la riduzione del bacino di iscritti nella scuola dell’infanzia (rispettivamente -9,7% e -9,2%); invece la maggiore diminuzione delle iscrizioni nelle scuole primarie e secondarie di primo grado è subita dall’anello più esterno dei territori metropolitani. Nel secondo ciclo di istruzione si manifesta un netto divario territoriale: le città metropolitane di Bologna, Roma e Milano sono ai primi posti della graduatoria per incremento della domanda formativa nel triennio considerato (rispettivamente +5,5% e +4,7% le altre due città) ma nelle città metropolitane del Sud e delle Isole, ad eccezione di Napoli e Reggio Calabria, l’andamento è opposto con una flessione degli iscritti che risulta massima a Bari e Palermo (-2,8%). La presenza dei cittadini stranieri nelle scuole dei vari cicli scolastici è complessivamente in lieve aumento nel tempo. Nell’anno scolastico 2021/2022 l’incidenza degli alunni con cittadinanza non italiana sul totale degli iscritti raggiunge il 10,7% e l’11,2% rispettivamente nelle scuole dell’infanzia e nelle primarie, giunge al 10,1% nelle secondarie di primo grado ma sono ancora meno i ragazzi stranieri che frequentano le scuole di secondo grado. Il divario territoriale nella distribuzione della presenza straniera nel sistema scolastico è spiccato. Le città metropolitane del Nord e del Centro accolgono la maggiore adesione straniera nelle scuole di tutti i cicli, in coerenza con la distribuzione dei cittadini stranieri sul territorio nazionale; in particolare Milano registra la percentuale più elevata in ogni ordine scolastico. Da Roma in giù comincia ad affievolirsi la presenza della componente straniera nella popolazione scolastica che, nelle città metropolitane del Sud e delle Isole oscilla tra il 2,2% e il 5%.
Nel panorama del sistema di istruzione diventa imprescindibile la promozione di azioni che favoriscano l’accesso ad un’istruzione inclusiva e di qualità per i gruppi vulnerabili quali i bambini e ragazzi con disabilità, con bisogni specifici di apprendimento o altri gruppi. Nel complesso delle città metropolitane, gli alunni con disabilità sono 40,4 per mille iscritti in totale, di poco superiore alla media nazionale (38,3 per mille) e sono in continua crescita (34,6 per mille nell’anno scolastico 2018/2019). Ciò mostra la necessità di una costante attenzione per questo fenomeno e l’esigenza di interventi che supportino le scuole, le famiglie e gli alunni per sostenere la partecipazione all’istruzione nel rispetto delle loro fragilità. Le città metropolitane con una più elevata incidenza di alunni disabili sul totale degli iscritti sono Catania (58,8 per mille) e Messina (50,9 per mille). In fondo alla graduatoria le città metropolitane di Venezia (25,3 per mille) e Cagliari (27,8 per mille) con minore fragilità tra gli studenti iscritti. La fruizione dell’istruzione per tempo scuola diminuisce all’aumentare dell’età dei bambini e dunque dell’ordine scolastico frequentato. Infatti la scelta del tempo pieno è privilegiata ampiamente nelle scuole dell’infanzia
(76% degli iscritti, la media italiana è 83%) (Prospetto 4); nelle primarie si conferma come preferenza per quasi la metà dei bambini frequentanti (49,5%, dato Italia 39,2%) e continua a crescere di anno in anno (+2,8 punti percentuali rispetto all’anno scolastico 2018/2019). Invece nelle scuole secondarie di primo grado quasi tutti gli alunni scelgono il tempo parziale (91,2%). Anche su questo aspetto i territori si differenziano: nelle città metropolitane del Nord, ma anche a Cagliari, c’è una maggiore fruizione del tempo pieno nelle scuole dell’infanzia e nelle primarie, in cima si trovano Bologna e Milano. Le città metropolitane del Sud sono in una posizione di svantaggio soprattutto nella scuola primaria per un’offerta più ridotta del tempo pieno, collegata ad un maggiore supporto della rete familiare e a una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. All’interno dei territori nei capoluoghi si usufruisce del tempo pieno nelle scuole primarie più che nelle cinture urbane. Bambini di 4-5 anni iscritti alle scuole: partecipazione massima nelle città metropolitane di Napoli e Bari
La partecipazione al sistema scolastico in età prescolare è essenziale per lo sviluppo cognitivo e sociale dei bambini, poiché garantisce l’acquisizione delle competenze di base utili per favorire l’apprendimento e contribuisce a ridurre le disuguaglianze educative legate alle condizioni socio-economiche sfavorevoli delle famiglie di appartenenza. La partecipazione al sistema scolastico dei bambini prima dei 6 anni è misurata attraverso un indicatore che considera, oltre ai percorsi educativi rivolti alla cura dell’infanzia, anche l’istruzione di livello primario[6], calcolato come rapporto percentuale tra gli iscritti di 4-5 anni alle scuole dell’infanzia o al primo anno delle scuole primarie e i bambini residenti della stessa fascia d’età. Nel corso dell’anno scolastico 2021/2022 nel complesso delle città metropolitane gli iscritti nelle scuole dell’infanzia o al primo anno della scuola primaria rappresentano il 93,4% dei bambini residenti di 4-5 anni. Il dato è leggermente inferiore a quello italiano (94%) ma ancora al di sotto dei livelli di partecipazione osservati nel periodo pre-pandemia (-2,3 punti percentuali rispetto al 2018/2019). Il peggioramento caratterizza tutti i territori
sub metropolitani con decrementi maggiori nelle prime e seconde cinture (circa -3 punti percentuali) e minori nei comuni capoluogo (-1,9 punti percentuali). I livelli di partecipazione più elevati si confermano nelle città metropolitane di Napoli e Bari (oltre 98% nell’anno scolastico 2021/2022) mentre si ferma all’87,3% a Roma, seguita da Milano (90,7%).
Nei comuni capoluogo, il 91,4% dei bambini di 4-5 anni è iscritto nelle scuole dell’infanzia o al primo anno delle scuole primarie, una quota inferiore di circa tre punti percentuali rispetto ai territori sub-urbani. I valori più contenuti si registrano nei comuni di Milano e Roma (86,2%), mentre i più alti si osservano a Cagliari, Catania e
Reggio Calabria con percentuali che raggiungono il 100%. La presenza di valori superiori al 100% è determinata dall’iscrizione di bambini non residenti nei comuni sede della scuola, a conferma del ruolo attrattore svolto dal comune capoluogo che è sede principale di erogazione dei servizi. All’interno dei territori metropolitani, i divari più evidenti si riscontrano nelle città metropolitane di Milano e Napoli, con i comuni capoluogo che presentano livelli di partecipazione al sistema scolastico significativamente inferiori ai territori limitrofi. Al contrario, in tutte le città metropolitane del Mezzogiorno, ad eccezione di Napoli e Messina, i comuni capoluogo continuano a garantire un maggiore accesso all’istruzione prima dei 6 anni.
Istruzione secondaria superiore: Milano e Venezia città metropolitane con i tassi più bassi di partecipazione
L’organizzazione del sistema educativo di istruzione italiano, prevedendo l’obbligatorietà del primo ciclo di istruzione (primaria e secondaria di primo grado) e fino a 16 anni di età, non richiede per definizione un monitoraggio della partecipazione, che invece si rende cruciale nel passaggio al secondo ciclo di istruzione al fine di contrastare con azioni opportune l’abbandono e la dispersione scolastica. Nelle 14 città metropolitane, nell’anno scolastico 2021/2022, vi sono 94,5 studenti iscritti al secondo ciclo di istruzione per 100 ragazzi residenti di 14-18 anni, appena inferiore alla media nazionale (94,9%). È evidente un miglioramento nella partecipazione, in aumento di un punto percentuale rispetto all’anno scolastico 2018/2019 e poco più alta per le ragazze (94,8%). I risultati non evidenziano uno spiccato divario territoriale nella partecipazione, anzi alcune città metropolitane del Sud hanno conquistato una posizione di vantaggio rispetto ad altre del Nord. Infatti, i tassi di partecipazione più elevati si riscontrano nella città metropolitana di Cagliari (121,8%) e Reggio Calabria (105,6%) (Figura 14)[7]. Meno confortante è invece la partecipazione all’istruzione secondaria superiore nella città metropolitana di Milano, dove l’indicatore (84,1%) è inferiore di oltre 10 punti percentuali alla media delle città metropolitane e a seguire Venezia (85,7%). All’interno dei territori metropolitani i comuni capoluogo rappresentano il polo attrattivo per l’istruzione secondaria superiore per i giovani residenti nei comuni limitrofi anche grazie alla presenza di una maggiore offerta formativa di istituti scolastici; ciò contribuisce ad innalzare i tassi di partecipazione che superano il valore 100. Infatti, nei comuni capoluogo la partecipazione al secondo ciclo di istruzione è pari a 120,2 iscritti ogni 100 ragazzi residenti
di 14-18 anni; seguono gli altri comuni delle città metropolitane dell’anello più esterno che sono più auto-contenitivi rispetto al bacino potenziale di residenti (85,8%). Nelle seconde e nelle prime cinture urbane le scuole secondarie superiori hanno una partecipazione più bassa probabilmente a causa dello spostamento dei propri giovani in comuni del restante territorio metropolitano con una maggiore offerta formativa. Si conferma una maggiore partecipazione femminile nei capoluoghi e nelle seconde cinture, un’inversione di genere invece nelle prime cinture e nell’anello più esterno delle città metropolitane. In particolare al vertice della graduatoria dei comuni capoluogo si posiziona Cagliari (268,3%); a Roma invece si raggiunge un bilanciamento quasi perfetto tra residenti e iscritti (100,3%). La prima cintura di Reggio Calabria è la più attrattiva tra quelle delle altre città metropolitane (105,7%) e le seconde cinture di Venezia (133,9%) e Bari (112,3%). Nel complesso delle città metropolitane l’analisi per cittadinanza evidenzia un tasso di partecipazione all’istruzione secondaria di secondo grado più basso per gli stranieri (87,6%) di oltre sette punti percentuali rispetto a quello degli italiani, ma in ascesa rispetto all’anno scolastico 2018/2019. C’è un’eterogeneità territoriale da cui emergono contesti molto positivi nelle città metropolitane di Genova, Torino, Bologna (con tassi di partecipazione superiori a 100), confortanti a Reggio Calabria, Palermo, Bari e Firenze, pari o vicini al bilanciamento tra iscritti e popolazione di riferimento e un po’ preoccupanti a Roma e Milano (appena vicini all’80%). Un primo esito della performance degli studenti si misura con la quota di ripetenti. Nell’anno scolastico 2021/2022 gli studenti ripetenti sono 6,6 per 100 iscritti alle scuole secondarie di secondo grado, in linea con la media nazionale, con un peggiore esito dei ragazzi (8,2%) rispetto alle ragazze (4,9%), le quali hanno tuttavia lievemente peggiorato le loro prestazioni rispetto all’anno scolastico 2018/2019 (Figura 15).
In vetta alla classifica dei ripetenti si trova la città metropolitana di Cagliari (11,5%), seguita da Genova (8,2%), Palermo e Firenze; il migliore risultato a Bari (4,6% ripetenti per 100 iscritti). Persiste il divario di genere in tutti i territori, più marcato a Cagliari (14,6 maschi e 8,2% femmine). All’interno delle città metropolitane è minimo lo scostamento tra comuni capoluogo e cinture urbane, con l’incidenza più elevata dei ripetenti nella seconda cintura urbana (6,9%). Tra i comuni capoluogo la maggiore incidenza di ripetenti nelle scuole superiori si registra sempre a Cagliari (10,3%).
Livello di competenze degli studenti: maggiori criticità nella città metropolitana di Napoli
La misurazione delle competenze acquisite dagli studenti rappresenta uno degli aspetti fondamentali nella valutazione degli esiti scolastici e fornisce importanti indicazioni per affrontare eventuali disuguaglianze territoriali nel livello di apprendimento raggiunto. Le rilevazioni annuali dell’Invalsi consentono di misurare la quota di studenti che al termine di ogni ciclo scolastico non hanno acquisto le competenze fondamentali previste. Nell’anno scolastico 2022/23 in Italia, una parte consistente degli studenti della classe terza della scuola secondaria di primo grado non raggiunge un livello di competenza almeno sufficiente, i cosiddetti low performer, evidenziando potenziali debolezze nel sistema scolastico già al termine del primo ciclo della scuola secondaria. In particolare, il 38,5% risulta low performer per le competenze alfabetiche mentre il 44,2% lo è per la competenze numeriche. Nel territorio, l’acquisizione delle competenze mostra un divario significativo, con le maggiori fragilità nelle città metropolitane del Mezzogiorno dove la quota di studenti con competenze non adeguate supera la media italiana. (Figura 16). Nelle città metropolitane di Palermo, Reggio Calabria, Napoli e Catania, oltre il 48% degli studenti ha livelli insufficienti nelle competenze alfabetiche e oltre il 60% in quelle numeriche. Al contrario, i migliori risultati sono raggiunti dagli studenti iscritti nelle scuole delle città metropolitane di Milano e Bologna, dove i low performer in entrambe le aree di apprendimento non superano il 36% degli studenti. L’analisi evidenzia nei comuni capoluogo le stesse tendenze osservate nei rispettivi territori metropolitani di appartenenza, con alcune eccezioni. Il comune di Palermo emerge insieme a Napoli e Catania per la quota più elevata di low performer nelle competenze alfabetiche (51,1%) e numeriche (oltre il 60%) seguito da Messina, dove il 57,9% degli studenti ha competenze numeriche non adeguate. Sono presenti anche marcate disparità di genere. Infatti i ragazzi mostrano risultati migliori nelle competenze numeriche mentre le ragazze emergono nelle competenze alfabetiche. In Italia nell’anno scolastico 2022/2023, il 42,9% dei maschi non raggiunge livelli adeguati di competenze alfabetiche, minore per le femmine (33,9%). Al contrario le ragazze low performer nelle competenze numeriche sono il 46,9% contro il 41,5% dei ragazzi. L’asimmetria di genere è più elevata nelle città metropolitane di Reggio Calabria e Firenze (oltre 10 punti percentuali) per le competenze alfabetiche e a Catania e Napoli per quelle numeriche (circa 8 punti percentuali). Il confronto fra periodo pre e post pandemia da Covid-19, mette in luce un significativo peggioramento del livello di apprendimento. Infatti su base nazionale si rileva un incremento, rispetto all’anno scolastico 2018/2019, della quota degli studenti con competenze alfabetiche e numeriche non adeguate (rispettivamente +3,3 e +4,6 punti percentuali). Il calo del livello di apprendimento è particolarmente significativo nelle città metropolitane di Genova e Cagliari per entrambe le tipologie di competenze e Firenze per quelle numeriche. L’analisi delle competenze degli studenti della classe quinta della scuola secondaria di secondo grado evidenzia il permanere delle criticità anche dopo 13 anni di scuola, con quote di low performer addirittura superiori a quelle rilevate per la classe terza della scuola secondaria di primo grado. L’indicatore misura una componente implicita della dispersione scolastica collegata all’inadeguatezza delle conoscenze e competenze acquisite al termine dell’intero percorso scolastico.
Nell’anno scolastico 2022/23 in Italia la percentuale di studenti con competenze insufficienti raggiunge infatti il 49,3% degli studenti per le competenze alfabetiche e il 50% per quelle numeriche Si collocano al di sopra della media italiana tutte le città metropolitane del Mezzogiorno e Roma, con svantaggi territoriali rilevanti per alcune città: Napoli con il 66,8%, seguita da Reggio Calabria (61,2%) e Palermo (61%) per le competenze alfabetiche; Napoli (70,2%), Palermo (68,1%) e Catania (65,4%) per le competenze numeriche. Nelle città metropolitane del Centro e del Nord, le migliori performance si confermano a Venezia (36,8%) per le competenze alfabetiche e Bologna per le competenze numeriche. La dinamica osservata evidenzia, a livello nazionale, il peggioramento delle competenze degli studenti con quote di low performer nettamente superiori a quelle rilevate nell’anno scolastico 2018/2019: +13,7 punti percentuali per le competenze alfabetiche e +10,8 per quelle numeriche. Gli incrementi più rilevanti (oltre 14 punti percentuali) si rilevano nella città metropolitana di Napoli e Genova per entrambe le tipologie di competenze, alle quali si aggiungono Firenze, Torino e Milano per le competenze alfabetiche. A Catania la quota più bassa di persone di 20-24 anni con almeno il diploma di scuola secondaria di II grado. I miglioramenti nella partecipazione all’istruzione secondaria e le azioni finalizzate al contrasto dell’abbandono scolastico hanno portato ad un progressivo innalzamento del tasso di scolarizzazione e del livello di istruzione dei giovani. Nei territori metropolitani, come a livello nazionale, quasi tutti i giovani residenti tra 15 e 19 anni possiedono almeno un titolo di scuola secondaria di primo grado (licenza di scuola media inferiore o di avviamento professionale) (99,0% nel 2022); tuttavia persiste una quota residuale di circa 11mila giovani che non lo ha ancora conseguito. Alcune città metropolitane del Mezzogiorno, come Reggio Calabria, Messina e Catania, insieme a Milano e Firenze, si collocano poco al di sotto della media. Nel complesso, i comuni capoluogo presentano livelli di istruzione leggermente inferiori agli altri territori metropolitani con valori più contenuti a Milano (98%), imputabili principalmente a livelli di istruzione maschili più bassi. L’incidenza dei ragazzi stranieri di 15-19 anni in possesso almeno del titolo di scuola secondaria di primo grado è il 93% degli stranieri della stessa fascia d’età, 6,5 punti percentuali in meno degli italiani. Il livello di istruzione della componente giovanile straniera è inferiore alla media in tutte le città metropolitane del Mezzogiorno, soprattutto a Napoli e a Reggio Calabria (circa 85%), con valori particolarmente critici nel primo e secondo anello del capoluogo partenopeo. Tra il 2018 e il 2022, nelle città metropolitane, il livello di istruzione dei giovani di 15-19 anni è in leggero miglioramento, con incrementi maggiori a Cagliari e Palermo. Nello stesso periodo cresce in misura più rilevante la quota di stranieri (+3,1 punti percentuali) che hanno completato il primo ciclo di istruzione. Nel conseguimento di livelli di istruzione superiore, nelle città metropolitane le persone di 20-24 anni che nel 2022 hanno almeno il diploma di scuola secondaria di secondo grado rappresentano l’85,4% della popolazione residente della stessa fascia d’età, in linea con la media italiana (Figura 18). I valori più alti si rilevano in alcune città metropolitane del Centro – Nord, come Roma, Venezia e Bologna, mentre non superano l’80% a Catania, Palermo e Cagliari. Quasi tutti i comuni capoluogo presentano livelli di istruzione più bassi rispetto alle cinture urbane, ad eccezione di Roma e Cagliari, sebbene con valori molto diversi (rispettivamente 89,3%, e 81,8%). La differenza a sfavore del comune capoluogo, è particolarmente marcata nella città metropolitana di Catania, dove la percentuale di giovani di 20-24 anni che non ha completato il secondo ciclo di istruzione raggiunge il 28,9% nel comune polo; nelle cinture varia tra il 16,7% e il 21,1%. Nelle città metropolitane si rileva inoltre un ampio divario di genere, con livelli di istruzione dei maschi (82,8%) inferiori a quelli delle femmine. Le differenze sono più rilevanti nelle città metropolitane di Cagliari, Firenze e Reggio Calabria dove il gap nel 2022 supera i 7 punti percentuali.
La condizione di fragilità dei cittadini stranieri è rilevante e generalizzata in tutti i territori metropolitani: soltanto il 53,5% dei ragazzi stranieri ha conseguito almeno un titolo secondario superiore a fronte dell’88,6% degli italiani
Il confronto rispetto al 2018 rileva un progressivo miglioramento del livello di istruzione dei giovani, maggiore per gli italiani (+4,6) rispetto agli stranieri (+2,2), confermando la persistenza di un ampio divario educativo per cittadinanza. Nelle città metropolitane del Mezzogiorno i livelli di istruzione degli stranieri di 20-24 anni sono significativamente più bassi della media, soprattutto a Catania e a Napoli, dove circa due terzi non ha completato il secondo ciclo di istruzione. All’interno dei contesti urbani, i migliori risultati si rilevano nei comuni delle prime cinture con il 58% degli stranieri di 20-24 anni che ha un diploma di scuola secondaria superiore o un titolo terziario, raggiungendo pienamente il 62% nelle città metropolitane di Roma, Bologna e Milano. Tra i comuni capoluogo la peggiore performance si riscontra ancora nella città di Catania sia per gli italiani sia per gli stranieri. Non studia ed è fuori dal mercato del lavoro il 14% dei giovani nelle città metropolitane di Palermo e Napoli. Il mancato raggiungimento di competenze adeguate e di un elevato livello di istruzione contribuisce ad accrescere il numero di giovani che, non studiando o non lavorando, disperdono il proprio potenziale umano che invece dovrebbe essere messo a beneficio dell’intera società. La scarsa valorizzazione del capitale umano e le difficoltà di accesso al mercato del lavoro delle nuove generazioni sono misurate in questa analisi con la quota di persone di 15-24 anni che non è inserita in un percorso regolare di istruzione e formazione e non risulta nemmeno occupata o in cerca di occupazione. L’indicatore si riferisce ad un collettivo più ristretto dei giovani che non studiano e non lavorano (NEET – Neither in Employment nor in Education and Training)[9], poiché non comprende le persone che partecipano al mercato del lavoro attraverso azioni di ricerca attiva di un’occupazione. Consente pertanto di definire tra i giovani quelli maggiormente esposti al rischio di esclusione sociale, a causa di un persistente allontanamento sia dal sistema formativo sia dal mercato del lavoro. Nelle città metropolitane, nel 2022, i giovani di 15-24 anni che non studiano e non partecipano al mercato del lavoro sono 190mila e 900, il 9% della popolazione residente della stessa fascia d’età, valore di poco superiore alla media italiana (8,3%, Figura 20). Anche per questo fenomeno esiste una forte dicotomia territoriale. Nelle città metropolitane del Mezzogiorno il peso di questo segmento di giovani più vulnerabili raggiunge quote a due cifre nettamente superiori alla media, ad eccezione di Cagliari (8,8%) e Bari (9,2%). Dati più preoccupanti riguardano le città metropolitane di Palermo e Napoli dove circa 14 giovani su 100 sono fuori dal sistema di istruzione e formazione e dal mercato del lavoro. Il fenomeno invece è più contenuto nella città metropolitana di Firenze (5,5%). L’analisi all’interno dei territori metropolitani evidenzia livelli più preoccupanti nel complesso delle seconde cinture (10%), con valori massimi in quelle di Palermo e Napoli (oltre 15%). Il fenomeno è più attenuato nelle prime cinture e nei poli urbani, per evidenti maggiori opportunità formative e lavorative, soprattutto in alcuni territori urbani del Sud. Nei capoluoghi si distingue insieme al dato di Napoli anche quello di Catania (oltre 14%); emerge inoltre una maggiore fragilità dei giovani anche nelle prime cinture della città metropolitana di Palermo (15,4%) e a seguire quelle di Napoli, Messina e Reggio Calabria. Rispetto al 2018 si osserva un miglioramento in quasi tutte le città metropolitane che hanno visto ridurre l’incidenza dei giovani di 15-24 anni non inseriti nei percorsi di istruzione e nel mercato del lavoro (nel complesso -1,8 punti percentuali). Fanno eccezione Cagliari, Venezia e Bologna. I decrementi più significativi si riscontrano nelle città metropolitane di Napoli, Reggio Calabria e Catania (circa – 3 punti percentuali). Non vi sono marcate differenze di genere tra le quote di giovani di 15-24 anni che non studiano e sono fuori dal mercato del lavoro (9,5% per le femmine e 8,5% per i maschi, Figura 20). Il differenziale a sfavore delle ragazze però aumenta al Sud in particolare a Palermo, Catania e Napoli, dove la quota femminile supera il 14%, sebbene in netto miglioramento rispetto al 2018. Al contrario nelle città metropolitane di Reggio Calabria e Cagliari il fenomeno interessa in misura maggiore i maschi (circa 1,5 punti percentuali in più rispetto alle femmine).
Scopri di più da WHAT U
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.